Il magma diventa la spia per prevedere le eruzioni vulcaniche. Se finora ci si e’ affidati ai segnali premonitori che possono annunciare un’esplosione imminente, adesso la possibilita’ di analizzare quello che accade nel cuore dei vulcani permette di avere una spia molto piu’ attendibile. E’ la strada aperta dall’analisi di due eruzioni del Monte Hood, un vulcano dell’Oregon, e descritta sulla rivista Nature. Grandi masse di magma che, ad altissime temperature, diventano in gran parte liquide e quindi in grado di muoversi con molta facilita’, sono il segnale individuato dai ricercatori americani Kari Cooper, dell’universita’ della California a Davis, e Adam Kent, dell’universita’ dell’Oregon. Si tratta infatti di una condizione molto rara e l’idea dei due ricercatori e’ stata di ricostruire la storia del magma e di questi momenti nei quali l’afflusso di nuovo magma, piu’ caldo, rende gli strati precedenti piu’ liquidi e quindi piu’ a rischio di eruzione. Questi periodi ‘caldi’ sono rari e brevissimi: una durata stimata in circa due mesi nell’arco di decine di migliaia di anni, e sono quelli che, secondo Cooper e Kent dovrebbero far scattare il campanello d’allarme per la probabilita’ di un’eruzione. Una conclusione ”interessante, ma che difficilmente si presta ad una generalizzazione”, commenta Paolo Papale, direttore della struttura Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). ”Il Monte Hood – rileva – e’ un vulcano molto particolare e non facilmente confrontabile ad esempio, dai vulcani italiani”.