Le nazioni del continente asiatico che si affacciano sul Pacifico sono incapaci di fermare la scomparsa delle foreste e delle praterie, dando una spinta ai processi di desertificazione e al cambiamento climatico. E’ quanto si legge in uno studio della Fao. Stando a quanto emerso nel corso di un conferenza a Ulan Bator, in Mongolia, foreste e distese d’erba occupano il 58% del territorio della regione, ma ogni anno circa 20.000 chilometri quadrati subiscono un forte degrado.
In Cina e in Mongolia la scarsa cura delle praterie sta avendo effetti anche a livello sociale: molti pastori si trovano costretti a rinunciare all’allevamento degli animali e si trasferiscono nelle aree urbane in cerca di un nuovo lavoro.
D’altra parte la crescita esponenziale delle città porta a deforestazioni e all’abbattimento illegale degli alberi, specialmente nel sud est asiatico.
Come spiega il Guardian, non è solo una questione di percentuali di territorio occupato da prati e foreste, ma di qualità delle zone verdi. Alcuni programmi di riforestazione in Cina, India e Vietnam hanno infatti peggiorato la situazione: aree caratterizzate da una forte biodiversità sono state rimpiazzate da culture intensive di una sola specie di pianta per scopi commerciali, come per la produzione di olio di palma e gomma.
Secondo gli esperti della Fao, il futuro sviluppo economico della regione non potrà prescindere dallo sforzo per preservare le foreste esistenti. Tuttavia, per ottenere qualche risultato, ci sarà bisogno di investimenti e di una forte volontà politica pronta a emanare leggi più severe in materia di ambiente.