Nauru è una sperduta isola dell’Oceano Pacifico Meridionale che, con i suoi 21,4 chilometri quadrati di superficie, è la repubblica indipendente più piccola al mondo. Essa ha anche la particolarità, che la rende unica al mondo, di non possedere una vera e propria capitale, ma semplicemente un centro urbano più sviluppato, sede del governo. La sua collocazione poco a Sud dell’equatore, unitamente al fatto che il suo raggiungimento è piuttosto arduo, trovandosi nel mezzo dell’oceano Pacifico, rendono quest’isola un potenziale paradiso terrestre (basti pensare alle “vicine” isole della Micronesia); potenziale perché attualmente l’isola ha un aspetto totalmente diverso dalle immagini da cartolina normalmente associate alle isole tropicali/subtropicali. Da quando, all’inizio del ‘900, fu scopoerto che l’isola era ricchissima di giacimenti a fosfati, iniziò un intensissimo sfruttamento di questa risorsa, attraverso l’apertura di cave e miniere, che, col tempo, hanno completamente ed irrimediabilmente trasformato l’isola. Fino a pochi anni fa, la produzione annuale di fosfato ammontava a 2 milioni di tonnellate, mentre oggi è ridotta ai minimi termini: i giacimenti infatti, si sono esauriti col tempo, e l’industria estrattiva, che rappresentava e rappresenta la preponderante fonte di sostentamento per i residenti, ha chiuso i battenti. Dietro a questo fatto, si cela il dramma di Nauru.
La ricchezza mineraria dell’isola si è rivelata col tempo, la sua croce e la sua delizia. Durante il secolo scorso, il governo di Nauru ha spinto all’estremo l’attività estrattiva, trasformando il territorio in una vera e propria miniera a cielo aperto, riducendo oltretutto al minimo la copertura boschiva, al fine di ricavare il massimo profitto dalla vendita del prezioso fosfato. Nel giro di alcune decine di anni, il benessere economico degli abitanti di Nauru si è talmente impennato da rendere l’isola una delle più ricche al mondo (negli anni ’70). A causa della totale assenza di acqua dolce sull’isola, per garantire la prosecuzione delle attività estrattive, sono stati spesi moltissimi soldi per l’installazione dei impianti di desalinizzazione dell’acqua marina. Questa ingente spesa, connessa al fatto che qualsiasi fonte alimentare è sempre stata importata dall’estero (tramite trasporto navale), ha portato questo stato ad avere un altissimo debito pubblico. Inoltre, dipendendo l’isola totalmente dall’estero da un punto di vista alimentare, ed essendo la qualità del cibo importato estremamente scarsa, la popolazione si è guadagnata negli anni un record negativo impressionante: è divenuta infatti quella che al mondo, presenta il più alto tasso di obesità, il 78% per le donne e l’80% per gli uomini; più in generale, risulta che il 94,5% degli abitanti di Nauru siano in sovrappeso.
Alle porte del nuovo millennio questo stato si è trovato davanti ad una situazione estremamente critica, sotto molti punti di vista: economico, ambientale, sociale e sanitario. Il tutto si è chiaramente aggravato quando i giacimenti si sono esauriti; per non fallire totalmente, il governo di Nauru ha cercato di reagire, tentando di rendere l’isola un paradiso fiscale, per poter attirare soldi ed investimenti esteri. Questa manovra però, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, facendo finire Nauru nella black list di moltissimi ed importanti stati. Nemmeno il tentativo di riconvertire le miniere per creare nuove fonti di reddito ha dato esito positivo: a causa dello sconsiderato livello di sfruttamento delle risorse naturali, sull’isola è impraticabile qualsiasi forma di agricoltura e di turismo. L’ecosistema locale si è impoverito a tal punto da non poter più sostenere alcuna coltura, ed avendo ridotto a un colabrodo l’entroterra, quella che prima era considerata un’isola paradisiaca, adesso non ha niente che possa richiamare visitatori dall’estero.
Su Nauru non si può più coltivare ne costruire, la flora è ridotta ai minimi termini, e l’unica fauna sopravvissuta è composta da cani e gatti (specie certamente non autoctone). La parte di isola che oggi è realmente ancora abitabile è appena il 20% della superficie totale, e si concentra lungo la costa, in una fascia di 100-150 metri dal mare, laddove non si è tentato di estrarre i fosfati. Come se non fosse abbastanza grave la devastazione causata dallo sfruttamento minerario, Nauru è minacciata anche da un pericolo esterno: l’innalzamento globale del livello marino. L’isola è infatti piatta, ed il suo picco più elevato raggiunge appena i 61 metri: considerato che è proprio la fascia costiera l’unica parte abitabile dell’isola, appare evidente come ci siano ben poche speranze per questo piccolo paese. A causa di questa sorta di condanna a morte, l’ONU ha proposto di trasferire tutti gli abitanti dell’isola altrove, per sottrarli ad un destino triste e pressoché scontato.
Per Nauru l’inizio della fine è stato segnato dalla decisione del governo di sfruttare la risorsa mineraria in modo sconsiderato e decisamente non lungimirante; al solo scopo di accrescere i profitti in poco tempo, si è deciso di agire senza porre minimamente attenzione all’ambiente e all’ecosistema sul quale si andava ad impattare. Il miglior tenore di vita raggiunto durante gli anni del boom economico, ha portato la gente dell’isola ad “occidentalizzarsi” nel peggiore dei modi, nutrendosi in maniera esagerata e scorretta, al punto tale da arrivare ad una vera e propria crisi sanitaria (obesità e diabete dilaganti). Quando si sono esauriti i giacimenti, e di conseguenza gli elevati guadagni, l’economia è crollata e nessuno è (e probabilmente sarà) in grado di risollevare le sorti dell’isola: lo sfruttamento e lo scempio naturalistico è stato talmente incontrollato da aver reso sterile e inospitale un’isola che un tempo era florida ed accogliente. La popolazione, impoverita e poco sana, rischia seriamente di dover abbandonare la propria terra per poter sopravvivere, anche a causa della possibile sommersione dell’isola in seguito all’innalzamento del livello del mare a scala globale.
Il nostro pianeta vive a grande scala, quello che in scala minore è accaduto a Nauru: il nostro desiderio di ricchezza ci sta spingendo a sfruttare in maniera sempre più spinta e impattante le risorse naturali di cui è (è stato?) ricco. Un tipico limite dell’Uomo è quello di non riuscire a pensare in un’ottica temporale “geologica”, ad essere lungimirante: per il benessere a breve termine, ce ne infischiamo delle conseguenze a lungo termine. Prima o poi però, il tempo passa, i nostri errori rimangono, e le conseguenze del nostro operato dovranno essere pagate. Viviamo con la consapevolezza di lasciare in eredità alle prossime generazioni una terra esausta, scavata, arida ed impoverita, ma non ci impegnamo abbastanza per risistemare la situazione: forse una forte cultura ecologica globale è ancora lontana dal far parte della nostra quotidianità, e continuiamo ad andare avanti con le nostre pessime abitudini, dimenticando che in realtà il futuro è già oggi.