Dopo le innumerevoli dichiarazioni pubbliche su questo argomento, penso che tutti siano ormai consapevoli che la miglior difesa dai terremoti consista nel rendere il patrimonio edilizio idoneo a resistere agli scuotimenti del suolo attesi in ogni zona del territorio interessato. Quello che rimane da chiarire è quale sia una definizione accettabile per gli scuotimenti da considerare per ogni zona del nostro paese. Poichè questo problema è stato affidato a quelli che vengono considerati i massimi esperti in campo nazionale, ci si aspetterebbe che la soluzione attualmente adottata su scala nazionale sia la migliore possibile. Purtroppo però le cose non sono così semplici, perché è facile rendersi conto (anche per non specialisti della materia) che le carte di pericolosità sismica attualmente in vigore comportano evidenti ed ingiustificate sottovalutazioni del rischio. Questo argomento è già stato affrontato, anche su MeteoWeb, in precedenti articoli, dedicati a due Regioni in particolare, la Toscana e l’Emilia Romagna ed in varie pubblicazioni (Mantovani et alii, 2011, 2012, 2013). Per non lasciare il dubbio che questo problema esista solo per una piccola parte del territorio italiano, questa nota si occupa anche di altre Regioni, considerando per il momento la parte centrale e settentrionale dell’Italia.
Per rendere evidenti le difficoltà sopra citate, la fig. 1 mostra la distribuzione delle intensità massime (Imax) previste dalle carte attuali (ottenute con la procedura PSHA: Probabilistic Seismic Hazard Assesment) per le Regioni considerate (Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino, Lombardia, Piemonte e Val d’Aosta). Questa valutazione suggerirebbe che per quasi tutto il territorio dell’Italia centro-settentrionale nei prossimi 50 anni la probabilità di avere scosse di Imax superiore a VIII è molto bassa (minore del 10%). E’ opportuno ricordare che questo grado di intensità implica danni limitati agli edifici, senza crolli delle strutture (e quindi vittime), se non nei casi in cui gli edifici coinvolti abbiano una debolezza superiore al normale (Fig. 1). Per una larga parte dell’area è addirittura considerata poco probabile una Imax superiore a VII e anche a VI. Solo per una piccola zona dell’Umbria la Imax considerata arriva al valore IX. Se il pericolo sismico fosse veramente questo ci sarebbe da gridare al miracolo, con scene di tripudio nelle piazze. Significherebbe che per i prossimi 50 anni gli interventi da fare sugli edifici non sarebbero poi così impegnativi. In particolare, una persona che viva in un edificio costruito in epoca abbastanza recente non dovrebbe temere di rimanere sepolto sotto le macerie. Purtroppo però, è molto difficile credere che il problema sia così limitato. Questa preoccupazione è alimentata dal fatto che nella zona interessata sono avvenute in passato scosse di intensità molto superiore a quelle previste dalle carte attuali (Fig.1), con danni rilevati molto più gravi.
Si potrebbe scacciare questo timore se ci fossero delle solide ragioni per ritenere molto affidabile la procedura PSHA. Ma questa speranza purtroppo svanisce se si considera che la suddetta metodologia è di tipo statistico ed è basata sull’illusione che sia possibile stimare la probabilità di una scossa in funzione del tempo. In realtà, ci sono evidenze molto convincenti sul fatto che le previsioni di questa procedura non sono attendibili, come argomentato in modo chiaro da autorevoli esperti di tutto il mondo e discusso in precedenti articoli.
Alla luce di queste difficoltà, la cosa più ragionevole e onesta che la comunità scientifica possa fare, è informare correttamente i cittadini sulla reale potenzialità delle zone sismogenetiche nella zona di interesse, cioè dire esattamente quello che potrebbe succedere, al di là di complicate e arbitrarie analisi statistiche. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario disporre di conoscenze molto avanzate sul quadro sismotettonico e tenere conto con estrema cura dei danni provocati dalle scosse del passato, in modo da riportare, comune per comune, una stima plausibile dell’intensità massima attesa. Questa indagine è già stata fatta per la Toscana e per l’Emilia-Romagna (Mantovani et alii, 2011,2012, 2013).
La stessa elaborazione è in avanzata fase di realizzazione per le Regioni Marche e Umbria. Questa scelta non è casuale, poiché le due Regioni in oggetto sono attualmente impegnate assieme a Toscana ed Emilia-Romagna nel tentativo coordinato di rendere omogeneo il patrimonio conoscitivo sulle caratteristiche dei 4 rispettivi territori regionali. La necessità di aggiornare la stima della pericolosità sismica per le due regioni sopra citate è messa in evidenza dal fatto che le Imax previste dalle attuali carte sono clamorosamente inferiori a quelle delle scosse effettivamente avvenute (Fig.1). In particolare, è piuttosto sorprendente che per la maggior parte dell’Umbria e delle Marche sia assunta un probabilità molto bassa (minore del 10%) di subire scosse di intensità superiore a VII o VIII, considerato che entrambe le regioni hanno risentito di numerosi terremoti caratterizzati da intensità IX, X e XI. Questa evidenza primaria, e il fatto che l’analisi in corso sia anche basata sulle conoscenze molto dettagliate attualmente disponibili sull’assetto tettonico della catena appenninica, possono spiegare le notevoli differenze che si stanno delineando tra le attuali carte di pericolosità (PSHA) e le nuove elaborazioni.
In fig. 1 è possibile notare che il problema sollevato esiste anche per alcune Regioni dell’Italia settentrionale. Nel Friuli Venezia Giulia sono avvenute almeno 10 scosse di intensità uguale o superiore al grado VIII (5 di I ? 9), cioè più forti del valore di Imax (VII) previsto dalle carte attuali. I tempi di ritorno tra gli eventi sono stati molto variabili, compresi tra meno di un anno e oltre 300 anni, per cui qualsiasi previsione statistica sul tempo di occorrenza della prossima scossa avrebbe un’incertezza elevatissima e sarebbe quindi di scarsa utilità pratica. Come detto in precedenza, l’operazione più corretta sarebbe quella di informare gli abitanti di questa regione che alcune zone del territorio potrebbero subire danni fino al grado IX-X (come già successo) e che non esiste attualmente la possibilità di conoscere quando tali scosse si potranno verificare.
Il Veneto è stato colpito da 9 terremoti di I ? VIII (6 di I ? 9), separati da intervalli di tempo molto variabili, compresi tra pochi anni e oltre 400 anni. Quindi, anche in questo caso sarebbe molto difficile valutare la probabilità di scosse nei prossimi 50 anni. Comunque, non è possibile escludere che terremoti di intensità IX o X possano avvenire nel prossimo futuro in alcune zone della Regione. In fig. 1 si può anche notare che la distribuzione delle scosse storiche interessa sia la parte orientale che occidentale del Veneto. Alla luce di queste evidenze, è sorprendente che le carte attuali prevedano che per la quasi totalità del territorio regionale la probabilità di subire una scossa di I ? VII nei prossimi 50 anni sia più bassa del 10%.
Per la Lombardia la storia sismica conosciuta documenta solo quattro scosse di intensità uguale o superiore a VIII, tra cui il forte terremoto del Bresciano nel 1222 (I = IX). Anche in questo caso, gli intervalli che separano le scosse sono molto variabili (compresi tra 99 e 580 anni), e lasciano quindi scarse speranze di potere valutare la probabilità di scosse simili nei prossimi 50 anni. Per la Liguria, la possibilità di generare scosse intense sembra essere confinata ad alcune strutture sismogenetiche fuori costa, che potrebbero provocare danni anche in terra, nella parte occidentale della Regione (che nel 1887 sembrano avere raggiunto il grado X, con annesso tsunami a Diano Marina). Le uniche Regioni settentrionali dove la pericolosità sismica sembra essere limitata, in base alla storia sismica conosciuta, sono il Piemonte, la Valle d’Aosta ed il Trentino Alto Adige, per le quali sono documentate solo pochissime scosse con intensità superiore a VII.
Le considerazioni sopra riportate suggeriscono che anche per alcune Regioni dell’Italia settentrionale sarebbe dunque utile disporre di una valutazione più realistica della pericolosità sismica, elaborata mediante una metodologia deterministica, come è stato fatto per la Toscana ed Emilia Romagna e come è in corso di realizzazione per Umbria e Marche. Questo tipo di approccio è in grado di fornire informazioni più attendibili, sia perché non è inficiato dalle gravi incertezze insite nelle procedure statistiche, sia perché si basa su un più vasto insieme di dati, comprendente le dettagliate conoscenze attualmente disponibili sui meccanismi tettonici che generano i terremoti nelle zone implicate. Inoltre, va tenuto presente che sono attualmente disponibili informazioni che non esistevano al momento della precedente elaborazione, costituite da osservazioni geodetiche con reti di stazioni GPS permanenti. Per rendere più chiaro questo vantaggio, può essere utile descrivere un esempio molto significativo, relativo alle due Regioni attualmente sotto esame: l’Umbria e le Marche. La figura 2 illustra i principali elementi strutturali del settore appenninico in oggetto e tenta di dare un’idea su come i vari pezzi del mosaico si muovono e si deformano sotto l’azione delle forze tettoniche. Le conoscenze sul quadro deformativo di questa zona indicano che l’Appennino Umbro-Marchigiano è sollecitato dalla spinta longitudinale (parallela alla catena) esercitata dalla parte orientale dell’Appennino centrale (circa corrispondente all’Abruzzo). In risposta a questa spinta, la parte esterna (orientale) dell’Appennino Umbro cerca di separarsi dalla sua parte interna, provocando delle fratture estensionali che sono molto probabilmente responsabili della fortissima sismicità che si sviluppa lungo la fascia sismica Gubbio-Colfiorito-Norcia.
Lo schema tettonico appena descritto è stato dedotto da evidenze geologiche (Mantovani et alii, 2011, 2012), ma questo tipo di evidenze, essendo relativo a tempi remoti, non può fornire una ricostruzione molto dettagliata del contesto attuale. Per cui, è molto interessante verificare se i movimenti dei blocchi sopra citati sono confermati dal campo cinematico attuale rivelato dalle osservazioni geodetiche. I risultati di questo monitoraggio (Fig. 3) sono di altissimo interesse, sia perché aderiscono in modo sorprendente al quadro cinematico di lungo termine (Fig. 2), sia perché permettono di quantificare in modo molto più preciso gli effetti deformativi dei processi tettonici in atto, aprendo la possibilità di tentare una valutazione delle loro possibili implicazioni sull’attività sismica.
La distribuzione dei vettori in figura 3 suggerisce alcune considerazioni:
- La parte esterna (adriatica) dell’Appennino centro settentrionale (evidenziata dal colore verde) si muove circa verso NE in modo abbastanza uniforme, con velocità di 3.0-5.0 mm/anno.
- La parte interna (tirrenica, grigia in figura 3) della zona considerata, invece, si muove prevalentemente verso N/NO, con velocità significativamente più basse (1-2 mm/anno).
- La cosa molto interessante è che la zona di separazione tra questi due settori a cinematica differenziata corrisponde alla fascia di maggiore sismicità che si sviluppa dall’Aquilano all’Appennino romagnolo, comprendente la fascia sismogenica Gubbio-Colfiorito-Norcia (Fig.4). Questa evidenza rafforza fortemente l’ipotesi che la formazione di tale sistema di faglie e la sua attuale attività sismica sia strettamente connesso con la diversa cinematica dei due settori sopra citati.
- In base al quadro delle velocità geodetiche (Figg. 3 e 4) risulta che il movimento differenziale tra il settore esterno più mobile e quello interno meno mobile sia costituito da una divergenza di 2-3 mm/anno circa orientata ENE-OSO. Per stimare il possibile impatto di questa divergenza sulla attività sismica, si può tenere conto che a questa velocità il periodo necessario per accumulare uno spostamento paragonabile allo scorrimento sismico associato con una scossa di M = 5.5 (circa 10-15 cm) è dell’ordine di 50 anni e che nelle zone sismiche situate a nord di Gubbio-Colfiorito le ultime scosse forti sono avvenute circa 100 anni fa (1917 Alta Val Tiberina, 1918 Appennino romagnolo, 1919 Mugello). Questo suggerirebbe che le zone citate hanno già accumulato sufficiente deformazione per provocare uno scorrimento sismico pericoloso (M> 5.5).
Va però considerato che il ragionamento sopra esposto presuppone arbitrariamente che la deformazione estensionale causata dallo spostamento relativo tra i due settori appenninici si concentri nel sistema di faglie interposto (Fig.4). Nel caso, per esempio, che la deformazione accumulata si distribuisca in un sistema di faglie più ampio, lo scorrimento potenziale ( e la relativa scossa) sarebbe ovviamente minore. Inoltre, è opportuno chiarire che le evidenze sopra discusse non autorizzano a prevedere scosse nel prossimo futuro, in quanto l’entità della deformazione che può portare una faglia al cedimento sismico è molto variabile, essendo controllata dal tipo di ostacolo che la faglia deve superare per sviluppare uno scorrimento consistente. Comunque, nonostante le incertezze sopra citate, va sottolineato il notevole contributo che la stima della pericolosità sismica può ricevere dal monitoraggio geodetico continuo del territorio.
Il messaggio principale che vuole essere trasmesso da questa nota è che la strada maestra per tentare una stima realistica della pericolosità sismica in un dato contesto deve necessariamente passare da una procedura deterministica, basata sulla conoscenza dei meccanismi tettonici responsabili dell’attività sismica e sullo studio di come tali meccanismi si stanno sviluppando e delle loro possibili conseguenze. Le difficoltà e le incertezze presenti lungo questa strada sono ancora notevoli, ma vanno affrontate e risolte con pazienza e determinazione, essendo consapevoli che non esiste una scorciatoia affidabile (come per esempio i tentativi fatti con metodologie statistiche) per arrivare ad una stima realistica della pericolosità sismica. Le nuove carte di pericolosità già prodotte per la Toscana ed Emilia-Romagna e quelle che saranno presto disponibili per l’Umbria e le Marche hanno lo scopo principale di fornire alle Regioni implicate un’informazione realistica sulla pericolosità sismica, che potrà essere utilizzata per varie attività connesse con la mitigazione del rischio sismico.
BIBLIOGRAFIA
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