Una nuova struttura tra le Fasce di Van Allen: ecco come la rotazione della Terra influenza le particelle

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Grazie ai nuovi dati raccolti dalle Van Allen Probes della NASA, due satelliti gemelli posti in orbita geocentrica nell’agosto dello scorso anno, gli scienziati hanno scoperto una nuova struttura in una delle due fasce di Van Allen. Ciò che ha colpito maggiormente i ricercatori, è che la struttura, che ricorda le strisce di una zebra, sia prodotta dalla lenta rotazione della Terra, precedentemente considerata incapace di influenzare il moto delle particelle con velocità prossime a quelle della luce. In passato si credeva che la forma di queste strutture potesse essere influenzata dalle variazioni dell’attività solare, ma le osservazioni hanno dimostrato la loro presenza anche nei periodi di minimo del ciclo undecennale. A causa dell’inclinazione dell’asse del campo magnetico terrestre la rotazione del pianeta genera un campo elettrico oscillante, che permea attraverso l’intera fascia di radiazione interna. Le fasce di Van Allen sono regioni dinamiche composte da particelle ad alta energia a forma di ciambella, che circondano il nostro pianeta e che sono intrappolate dal nostro campo magnetico. La prima fascia di Van Allen fu scoperta nel 1958 grazie alla missione spaziale Explorer 1, il primo satellite artificiale lanciato dagli Stati Uniti.

Credit: NASA

Le successive missioni spaziali di Stati Uniti e Unione Sovietica chiarirono che le fasce costantemente presenti attorno alla Terra sono in realtà due: la prima, più interna, molto stabile, costituita da un plasma di elettroni e ioni positivi ad alta energia, e una più esterna, di soli elettroni ad alta energia, caratterizzata da un comportamento molto più dinamico rispetto a quella interna. Durante i periodi attivi i livelli di radiazione possono aumentare drasticamente, creando condizioni al limite per i veicoli spaziali in orbita e per gli astronauti nello spazio. L’obiettivo della missione – dicono i ricercatori – è proprio quello di capire come e perchè questi livelli variano nel tempo. “Gli strumenti hanno una risoluzione estremamente fine, capaci di mettere a fuoco un fenomeno che non sapevamo nemmeno che esistesse“, ha detto David Sibeck, a capo della missione. La scoperta potrebbe rivoluzionare la nostra conoscenza sulle forze gravitazionali coinvolte. La ricerca dettagliata è stata pubblicata sul numero del 20 Marzo della rivista Nature.

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