Sono passati 28 anni dal più grave disastro nucleare mai avvenuto in una centrale nucleare, ed i cui effetti sono ancora oggi pesantissimi: l’incidente presso la centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina.
L’incidente al reattore numero 4 della centrale atomica avvenne all’1.24 del 26 aprile, ma la gravità di quanto era avvenuto venne sottostimata per giorni. Nel frattempo migliaia di persone, abitanti in un raggio di chilometri intorno alla centrale nucleare, vennero esposti a livelli di radiazioni altissimi. Gli abitanti di Pripjat’, a soli 3 km dal reattore, vennero evacuati solo due giorni dopo. Gli effetti sulle persone furono tremendi. Se le vittime ufficiali subito dopo l’incidente furono 31, il vero bilancio, se si contano i tantissimi decessi avvenuti negli anni successivi a causa di tumori e malformazioni, ammonterebbe a migliaia di morti. Fra questi non possiamo dimenticare gli operai che vennero inviati a Chernobyl per costruire il sarcofago di cemento che per tutti questi anni ha impedito ulteriori perdite radioattive dal reattore esploso, e tutti quelli che lavorarono nell’area per rimuovere i terreni contaminati e le macerie. Centinaia di migliaia furono le persone che lavorarono come “liquidatori” per decontaminare l’area e per salvare il mondo dal rischio di una ulteriore esplosione che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche. Terribile il destino anche dei tanti operai che vennero mandati a costruire un enorme struttura di cemento armato (“il sarcofago”) con esposizione alle radiazioni ben oltre ogni soglia sopportabile, e dei minatori inviati a costruire un tunnel fin sotto il reattore, attraverso il quale venne scongiurato il rischio di una seconda esplosione. Li chiamarono “bio-robot”. Molti di questi uomini morirono o si ammalarono negli anni successivi.
La nube radioattiva mise in allarme quasi tutta l’Europa, in quella che fu una primavera 1986 di angoscia. I venti spinsero la nube radioattiva anche sull’Italia, e venne proibito il consumo di verdure e latte, mentre si consigliava a bambini ed anziani di restare in luoghi chiusi. Per la prima volta un intero continente era in balia di un pericolo invisibile, non tangibile. Il disastro di Chernobyl aprì gli occhi dell’opinione pubblica mondiale sui rischi della produzione di energia elettrica attraverso la fissione nucleare. In Italia i contraccolpi politici furono fortissimi, perché soltanto un anno dopo dall’incidente un referendum mostrò la contrarietà di milioni di italiani verso l’energia nucleare. Sull’onda di quei referendum, i governi in carica fra il 1988 e il 1990 misero definitivamente fine all’esperienza nucleare italiana (fino a quel punto abbastanza modesta in realtà), con la chiusura delle tre centrali funzionanti e l’abbandono del progetto unificato nucleare.
Recentemente, nel 2011, un nuovo referendum ha bloccato sul nascere i progetti di una nuova stagione nucleare in Italia, sull’onda stavolta di quanto avvenuto a Fukushima dopo il terremoto dell’11 marzo 2011.
Le conseguenze ambientali dell’incidente di Chernobyl sono ancora oggi evidenti in Ucraina, con livelli di contaminazione altissima intorno alla centrale, in un raggio di chilometri. Studi recenti hanno messo in risalto come ci siano evidenti mutazioni nella flora e nella fauna locale, e come anche i microrganismi siano stati colpiti dalle radiazioni.
Intanto vanno avanti a rilento i lavori di costruzione del nuovo “sarcofago” (NSC), una struttura che dovrà contenere il reattore 4 esploso ventott’anni fa rinforzando il vecchio sarcofago, ormai indebolito da crepe e con segni di instabilità. A rallentare i lavori problemi economici, ed ultimamente anche le instabilità geopolitiche che vedono l’Ucraina sull’orlo della guerra.