Fino a poco tempo fa gli scienziati credevano che su Mercurio non fosse mai esistita alcuna attività vulcanica esplosiva. Sulla Terra le eruzioni vulcaniche di tipo pliniano possono causare danni catastrofici. Diversi gli esempi della storia geologica del nostro pianeta. Il vulcanismo esplosivo si verifica perchè l’interno della Terra è ricco di sostanze volatili, come acqua, anidride carbonica e altri composti che evaporano a temperature relativamente basse. Non appena la roccia fusa sale dalle profondità verso la superficie terrestre, i gas volatili disciolti in essa vaporizzano e si espandono, aumentando la pressione a tal punto che la crosta soprastante può scoppiare come un palloncino. Per lungo tempo gli scienziati planetari hanno ipotizzato che Mercurio fosse privo di tali sostanze. Nel 2008, tuttavia, dopo la messa in orbita della sonda MESSENGER della NASA, i ricercatori hanno rilevato materiale riflettente insolitamente brillante sulla superficie. Dopo accurate analisi, tale materiale è risultato essere cenere piroclastica, indice di esplosioni vulcaniche passate. Il gran numero di questi depositi ha suggerito che l’interno di Mercurio non è sempre stato privo di sostanze volatili, come gli scienziati avevano da tempo assunto. Non è chiaro a quanto tempo fa risalgano, ma sembra che tale attività sia durata per miliardi di anni. Gli investigatori hanno analizzato 51 siti piroclastici su tutta la superficie di Mercurio, utilizzando i dati di MESSENGER raccolti dopo che la navicella è entrata in orbita attorno al pianeta più interno del sistema solare. Queste letture orbitali hanno fornito una visione molto più dettagliata dei depositi e le aperture che li hanno generati. I dati hanno mostrato che alcune bocche eruttive erano molto più erose rispetto ad altre. Ciò rivela che non tutte le esplosioni sono avvenute allo stesso tempo. I ricercatori hanno notato che circa il 90 per cento di questi depositi di cenere si trovano all’interno di crateri formati da impatti di meteoriti. Questi depositi devono essersi accumulati dopo la formazione di ogni singolo cratere; se un deposito si fosse formato successivamente, infatti, sarebbe stato distrutto dallo stesso impatto. Ciò che i ricercatori sono in grado di fare, è stimare l’età di un cratere da impatto grazie all’erosione osservata. Grazie a tali analisi, è emerso che alcuni depositi piroclastici hanno un’età compresa tra 1 e 4 miliardi di anni. L’attività esplosiva non era quindi limitata ad un breve periodo dopo la formazione di Mercurio avvenuta 4,5 miliardi di anni fa, ma è proseguita nel tempo. La maggior parte dei modelli precedenti a questa scoperta, davano per scontato che i materiali volatili non fossero sopravvissuti al processo di formazione del pianeta. Ad esempio, dal momento che Mercurio ha un nucleo di ferro insolitamente grande, i modelli del passato ipotizzavano che un tempo il pianeta fosse stato molto più grande, e i cui materiali volatili fossero stati strappati via da un enorme impatto spaziale. Con questi nuovi risultati questo scenario appare ormai improbabile. La ricerca futura avrà lo scopo di identificare sempre più informazioni circa i depositi piroclastici e le loro bocche di origine. Gli studi potranno chiarire alcuni aspetti dell’attività piroclastica della storia di Mercurio. Gli scienziati hanno dettagliato i loro risultati online il 28 marzo sul Journal of Geophysical Research.