Ecco un’altra conferma dell’azzeccato binomio tra geologia ed enologia, che va ad affiancarsi a quel luogo comune, poi non così tanto lontano dalla realtà, che vede la figura del geologo collegata al buon vino (e perché no, alla buona tavola). Già in un recente articolo abbiamo parlato di quanto la geologia del terreno di coltivazione delle vigne sia un parametro determinante per la realizzazione di un prodotto finale di qualità: il chimismo del suolo va infatti ad incidere profondamente sulle sue proprietà organolettiche.
Adesso vogliamo occuparci di un’altra problematica connessa al mondo vinicolo: la rintracciabilità alimentare. Al giorno d’oggi, questa, ha infatti assunto una posizione importantissima tra i consumatori, ed il poter discriminare i vini sulla base della loro zona di produzione riveste un ruolo molto rilevante, poiché rappresenta uno dei parametri che ne determinano il valore commerciale: un prodotto avrà infatti maggior valore se proviene da una zona di origine controllata e garantita (DOCG), oppure se appartenente alla categoria dei vini DOC (denominazione di origine controllata) o IGT (identificazione geografica tipica). allo scopo di controllare l’effettiva corrispondenza tra zona di produzione dichiarata e zona di produzione effettiva, sono state messe a punto diverse metodologie analitiche che utilizzano la chimica degli elementi in traccia e l’applicazione di metodi molecolari ed isotopici, e che riguardano sia i campioni di vino prodotto, sia i campioni di suolo delle vigne di produzione.
COSA SONO GLI ISOTOPI? Sono forme differenti dello stesso elemento, che si diversificano tra loro in base alle loro proprietà fisiche, avendo una massa atomica diversa. Ogni isotopo dello stesso elemento, ha un diverso numero di neutroni nel nucleo dell’atomo, e di conseguenza, una differente atomica diversa. Facciamo il semplice esempio dell’idrogeno comune (H): il nucleo del suo atomo è costituito da un solo protone (con carica elettrica positiva) e nessun neutrone (la cui carica elettrica è appunto neutra); intorno al suo nucleo ruota un elettrone (con carica negativa). In natura esistono tre forme isotopiche di idrogeno: quella comune, che abbiamo appena citato, quella “pesante” o deuterio (con l’aggiunta di un neutrone), e quella “radioattiva” o trizio (con due protoni al nucleo). Gli isotopi si distinguono in stabili ed instabili: nel secondo caso, il loro nucleo, tende a raggiungere una situazione di stabilità emettendo radiazioni e trasformandosi in un altro isotopo attraverso il fenomeno della radioattività naturale.
Gli isotopi stabili, che non presentano radioattività, sono utilizzati in enologia essenzialmente per verificare l’autenticità dei prodotti alimentari; sulla base dei vari rapporti isotopici di alcuni elementi (ossiveno, carbonio, idrogeno), si possono riconoscere molecole provenienti da materie prime differenti o elaborate con processi diversi, ed mettere in luce alcune delle sofisticazioni più comuni in campo enologico, come lo zuccheraggio e l’annacquamento. Gli isotopi instabili invece, sono utilissimi per verificare l’effettiva provenienza delle uve da cui è composto un vino dalla zona geografica citata sull’etichetta. Il rapporto tra le abbondanze di due diversi isotopi dello stesso elemento (come ad esempio lo Stronzio 87 e lo Stronzio 86, 87Sr/86Sr) rilevabile all’interno di una specifica formazione geologica, di un particolare suolo, di un gruppo di rocce che caratterizzano una definita area geografica, è un’impronta costante e fissa, una sorta di impronta digitale. Lo stronzio, in particolare, ha un comportamento simile al calcoi in molti processi bio-geologici, e costituisce un tracciante sicuro per il flusso di nutrienti del sistema suolo-pianta. I cationi (ioni positivi dei diversi elementi) che la vite assorbe dalla terra sono direttamente connessi al rapporto isotopico 87Sr/86Sr nei tessuti della pianta stessa, e non vengono in alcun modo ritoccati da ulteriori fattori dovuti al metabolismo vegetale. Ogni suolo, in funzione della natura delle litologie e delle età geologiche delle rocce da cui proviene, sviluppa un rapporto 87Sr/86Sr ben definito, che poi trasferisce alla pianta che su di esso cresce, stabilendo così, a livello isotopico, una parentela inconfondibile tra il suolo e la pianta.
Prelevando un campione di suolo o di roccia è possibile verificarne il suo rapporto isotopico, e quindi individuare la firma isotopica della zona dove è stato raccolto. Lo stesso tipo di analisi è conducibile sui campioni di vino prelevati dalle bottiglie commercializzate. Studi recenti hanno messo in luce che c’è una forte corrispondenza tra i rapporti isotopici dei vini e quelli dei relativi suoli dove sono state vendemmiate le uve che li compongono. Ciò significa che se da un vino si ottengono parametri isotopici molto diversi da quelli tipici del suolo della zona di provenienza, molto probabilmente le uve usate in quel caso, sono state coltivate in un luogo diverso da quello indicato sull’etichetta. È evidente come quindi le analisi degli isotopi delle rocce e dei vini, applicate alla territorialità della zona di produzione vinicola, siano uno strumento promettente per mettere in luce eventuali truffe e contraffazioni, smascherarando eventuali aggiunte di vino proveniente da zone geografiche ben diverse da quelle dichiarate.
La prossima volta che assaporerete un buon bicchiere di vino, pensate per un attimo agli isotopi, e alle preziose informazioni che portano con se. Cin cin!