Il Prof. Enzo Mantovani (docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena) è un esperto di sismotettonica di cui MeteoWeb già in passato ha ospitato alcuni articoli sulla necessità di rivedere l’attuale carta di pericolosità relativamente all’Italia centro-settentrionale. Per completare la sua trattazione, qui il Prof. Mantovani, con la collaborazione del geologo Giampiero Petrucci (intervenuto relativamente alla parte di Roma), analizza la situazione dell’Italia centro-meridionale, evidenziando gravi sottovalutazioni della pericolosità nelle regioni coinvolte (Abruzzo, Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia). Viene esclusa la sola Sardegna in quanto, come notorio, risulta la regione meno sismica di tutta Italia e nella quale storicamente non si sono verificati terremoti di magnitudo superiore a 5.0.
Come nelle note precedenti, il problema viene principalmente discusso sulla base del confronto tra la distribuzione delle intensità massime previste dalla carta attuale (elaborata mediante la procedura PSHA = Probabilistic Seismic Hazard Assessment) e la sismicità realmente avvenuta. La fig. 1 mette in evidenza che per la maggior parte del territorio considerato viene ritenuta molto bassa (<10%) la probabilità che si verifichi nei prossimi 50 anni una scossa di intensità superiore al grado VIII. Solo per una stretta fascia (viola), che si sviluppa nella parte assiale della catena appenninica, il grado dell’intensità massima prevista sale a IX.
Siccome dal 1200 sono avvenute almeno 76 scosse (circa una ogni 10 anni) che hanno avuto intensità superiore a quella prevista nella zona rispettiva dalla carta PSHA (Fig.1), non è facile credere che un tale evento sia poco probabile nei prossimi 50 anni. Questa scarsa fiducia nella carta attuale deriva anche dalle numerose e gravi limitazioni della procedura probabilistica con cui è stata elaborata, come già ampiamente discusso in varie pubblicazioni (Mantovani et alii, 2011, 2012a,b, 2013) e in precedenti articoli apparsi su questo sito. Non rimane quindi che ribadire la necessità di rivedere la carta di pericolosità attuale, opportunità che è stata anche riconosciuta dalla Protezione Civile. Per rendere più evidenti i motivi di questa revisione può essere utile fare alcune considerazioni sui principali problemi della carta attuale relativi alle Regioni sopra citate.
Nell’Italia centrale, la Regione che sembra essere più esposta a terremoti forti è l’Abruzzo, che negli ultimi 7 secoli è stato colpito da almeno 11 terremoti di I ? IX (di cui 5 con I ? X: 1456 X-XI, 1461 X, 1703 X, 1706 X-XI, 1915 XI). Nonostante questa serie di eventi disastrosi, la carta attuale ritiene poco probabile che nei prossimi 50 anni si possa verificare una scossa di I > VIII in una vasta parte del territorio regionale e di I > IX nella sua fascia più occidentale (Fig.2).
Per capire quanto sia poco sostenibile la previsione della carta PSHA è utile considerare che le forti scosse passate sono state separate da intervalli di tempo estremamente variabili, compresi tra pochi anni e 250 anni. Questa evidenza macroscopica indica chiaramente (anche per non esperti di statistica) che qualsiasi tentativo di valutare la probabilità di terremoti forti nei prossimi 50 anni sarebbe inevitabilmente affetto da un’incertezza elevatissima. In casi come questo, la comunità scientifica ha il dovere di informare onestamente i cittadini dei rischi reali, cioè ammettere per esempio che le strutture sismogenetiche presenti nel territorio abruzzese e zone limitrofe possono produrre scosse anche di grado X e XI (come già avvenuto numerose volte) e che non è attualmente possibile prevedere quando un evento simile potrebbe ripetersi. Perciò è questa la calamità che deve essere considerata per progettare edifici e manufatti in grado di resistere agli scuotimenti attesi. Più grande è la consapevolezza di questo rischio e più elevata sarà la possibilità che vengano messe in atto iniziative congrue per rendere i prossimi terremoti forti meno disastrosi e luttuosi di quelli di pari grado avvenuti nel passato.
Per quanto riguarda il Molise, l’unica scossa forte con presunto epicentro interno ai confini regionali è avvenuta nel 1805 (I=X), ma è ben documentato che la parte occidentale di questa Regione ha subito danni molto gravi, con un numero elevato di vittime (decine di migliaia) per i terremoti campani del 1456 (XI) e 1688 (X). Anche in questa Regione, la carta PSHA prevede una scarsa probabilità di superamento dell’intensità VIII in una larga parte del territorio e dell’intensità IX nella sua fascia più occidentale (Fig.2). Quindi, visto che queste previsioni sono molto inferiori agli effetti subiti da terremoti nel passato, si possono tenere presenti le considerazioni fatte per l’Abruzzo.
Il Lazio è stato interessato da alcune scosse forti (I ? IX), ma solo nella parte nord-orientale (1298 X, 1639 X e 1695 IX) e in quella estrema meridionale (1349 X e 1654 X). Inoltre, la parte nord orientale della Regione ha risentito di danni gravissimi e molte vittime per i terremoti avvenuti in Abruzzo (1461 X, 1703 X) e Umbria (1703 XI), come mostrato in fig. 2. Quindi, si può dire che per la maggior parte del territorio laziale, le previsioni della carta PSHA potrebbero essere realistiche (o quasi), ma è però necessario tenere presente che alcune zone marginali di questa Regione possono subire danni molto superiori a quelli previsti dalla carta attuale (Fig.2).
“Il caso Roma”. A questo proposito il caso più emblematico è quello di Roma, mai sede di un epicentro con magnitudo superiore a 5.0, ma che comunque storicamente ha subìto danni significativi al suo patrimonio monumentale ed edilizio a seguito di terremoti sviluppatisi nelle sue vicinanze. Se tutti concordano sul rischio sismico “modesto” per la capitale in sé, pochi conoscono la storia delle scosse avvertite a Roma e, soprattutto, l’opinione pubblica non comprende a pieno la differenza tra rischio e vulnerabilità. La sismicità capitolina, pur se limitata e caratterizzata da intensità massime intorno al VI-VII grado della scala MCS, ha infatti da sempre rappresentato un serio pericolo per l’integrità dei monumenti millenari, spesso (in particolare nel Medioevo) trascurati e lasciati senza manutenzione. Ancor più gravi sono i rischi legati alle scosse “risentite”, con epicentri localizzati nei Colli Albani, nel Mar Tirreno e perfino nell’Appennino Centrale che, nonostante disti circa tra i 60 ed i 120 km da Roma, rappresenta la sorgente sismogenetica principale capace di provocare danni anche sensibili nella capitale. A questo proposito la tabella a corredo di questo articolo testimonia a dovere la sismicità storica ed i danni relativi: si noti come il Colosseo (in cui ancora oggi sono visibili lapidi a ricordo dei sismi e retaggi dei crolli passati) sia stato ripetutamente danneggiato da scosse che hanno colpito pure S. Giovanni in Laterano e perfino il Vaticano.
Il problema è acuito da due fattori fondamentali, uno geologico ed uno ingegneristico. La maggior parte di Roma è costruita su depositi alluvionali olocenici del Tevere e dei suoi affluenti. La valle del Tevere è larga oltre due km, ma esistono altre zone edificate su materiali soffici, non consolidati e dalle scadenti proprietà geomeccaniche (Valle della Caffarella al terminal “Ostiense”, Grotta Perfetta, Viale Giustiniano, Valle di Vallerano, ecc.). In condizioni particolari questo tipo di terreni, soprattutto le sabbie, può essere soggetto ad amplificazione dell’onda sismica (liquefazione, densificazione, ecc.) e quindi aumentare a dismisura la potenza distruttrice del terremoto. Nell’area che va da Ponte Milvio alla Magliana è stato calcolato che gli effetti delle scosse possono amplificarsi anche fino a due volte e mezzo rispetto alle altre zone capitoline. Chi giudica questa ipotesi fantascientifica, farebbe bene a considerare la differenza tra i danni subìti nel corso dei secoli causa le scosse sismiche dalla Colonna Antonina (poggiante proprio su depositi alluvionali) e la Colonna Traiana (edificata su terreni meno amplificabili) così come le lesioni più accentuate della porzione più meridionale del Colosseo rispetto alla parte più settentrionale. Differenze causate proprio dal diverso tipo di terreno su cui poggiano le strutture, anche a poche decine di metri di distanza: esempio tipico di come il terreno possa reagire in maniera diversa al passaggio delle onde sismiche. Ecco perché noi di MeteoWeb abbiamo posto particolare attenzione allo sviluppo della microzonazione sismica, chiedendo una sua incentivazione su tutto il territorio nazionale anche al Ministro dell’Ambiente, purtroppo senza peraltro ricevere risposta, tanto meno nei fatti.
L’altro fattore, ancora più grave, è l’enorme espansione urbanistica, spesso sregolata, della capitale nell’ultimo secolo. Secondo un recente studio dell’Anaci (Associazione nazionale amministratori condominiali) a Roma almeno il 35% degli edifici non possiede il certificato di abitabilità. Chi anni addietro aveva tentato, finalmente, un attento censimento dell’edificato, tramite il cosiddetto “fascicolo del fabbricato”, è stato prontamente stoppato, viste evidentemente le magagne che una simile indagine avrebbe rilevato. Roma, ma in generale tutta l’Italia, non è pronta a sopportare le scosse sismiche ed i cittadini (mai predisposte esercitazioni in uffici e scuole) non conoscono la vulnerabilità del loro territorio, questa è la triste verità. Come già rilanciato da MeteoWeb, in questo contesto, già di per sé complicato, emerge il problema definitivo: da un secolo, esattamente dal 1915, quando si verificò il terribile terremoto di Avezzano, l’urbanizzazione di Roma è stata abnorme e noi non sappiamo come si potrebbero comportare i “nuovi” edifici in caso di un forte sisma appenninico, con magnitudo ben superiore a 6.0. Non lo sappiamo per il semplice motivo perché ignoriamo le caratteristiche costruttive degli edifici stessi e crediamo di non andare lontani dalla realtà asserendo che probabilmente non vi esistono particolari accorgimenti antisismici. Non dobbiamo dimenticare una massima tanto cara ai sismologi: non sono i terremoti ad uccidere le persone, bensì gli edifici costruiti male. Ecco perché il terremoto a Roma rimane un problema sottovalutato.
Ma riprendiamo la nostra analisi dell’Italia meridionale sotto l’aspetto della pericolosità sismica. La Campania e la Basilicata sono altre Regioni molto frequentate da terremoti forti (I ? IX, Fig.3). Siccome molte scosse sono avvenute nelle zone di confine tra le due Regioni, è difficile separare le relative storie sismiche. Dal 1450 in queste due regioni ci sono state 20 scosse con I ? IX (circa una ogni 30 anni). E’ sorprendente che anche per queste due Regioni venga ritenuto improbabile il superamento del grado IX nei prossimi 50 anni (Fig.3), visto che questa intensità è stata superata almeno 11 volte dal 1450 ad oggi (1456, XI; 1561, X-XI; 1688, XI; 1694, X; 1702, X; 1732, X-XI; 1851, X; 1857, XI; 1883, X; 1930, X; 1980, X), con un tempo di ritorno medio di circa 50 anni. Per cui, considerato che l’ultima scossa forte (1980) è avvenuta da ormai 34 anni, neanche una semplice valutazione probabilistica può giustificare la carta PSHA. Inoltre, anche in questo caso l’estrema variabilità dei tempi intercorsi tra scosse forti successive (compresi tra 2 e 127 anni) implica una notevole incertezza sulla stima della probabilità di tali scosse nel prossimo futuro. Quindi, per alcune parti del territorio campano/lucano l’informazione che la probabilità di subire nei prossimi 50 anni una scossa di grado X o XI è piccola (Fig.3) è poco realistica.
In Puglia, le zone più colpite da scosse forti sono il Gargano (1223 I=IX, 1627 I=X, 1646 I=X, 1657 I=IX-X) e il Foggiano (1361 I=X, 1456 I= IX, 1731 I=IX), dove sono riconosciuti sistemi di faglie molto evidenti. Gli effetti di queste scosse, e di altre avvenute nella parte adiacente della Campania-Basilicata, sono più intense, o molto più intense, rispetto alla previsione della carta PSHA, che suggerisce il grado VIII come il probabile massimo atteso in tutto il territorio regionale (Fig. 3). Nell’attuale carta di pericolosità, la parte meridionale della Regione (Salento) è considerata poco sismica, con una scarsa probabilità (< 10%) di essere colpita da scosse di I > VII o VI nei prossimi 50 anni. Le conoscenze sull’assetto tettonico di questa zona suggeriscono però che alcuni sistemi di faglie situate nella parte centrale e meridionale del Salento, potrebbero essere ancora attive, in quanto ancora fortemente sollecitate dalle forze tettoniche (Mantovani et alii, 2009). Uno di questi sistemi, localizzato fuori costa a sud della punta più meridionale del Salento, sembra essere responsabile della fortissima scossa che è avvenuta nel 1743 (M = 7.1) al largo del Salento, con sviluppo anche di uno tsunami a lungo rimasto ignoto, e di cui MeteoWeb ha già parlato. In quell’occasione i danni documentati nella parte estrema meridionale della Puglia, legati ad effetti di amplificazione dell’onda sismica, sono valutati del grado IX. Quindi, le evidenze attualmente disponibili suggerirebbero che in tutta la Puglia, e in particolare nel Salento, sarebbe consigliabile assumere valori più elevati dell’Imax attesa, al posto di quelli troppo ottimistici ipotizzati dalla carta attuale (Fig. 3)
In Calabria, le scosse con I ? IX sono state 20 negli ultimi 4 secoli (circa una ogni 20 anni). Questa notevole frequenza delle scosse disastrose è consistente con le conoscenze sulle deformazioni geologiche recenti, che indicano l’Arco Calabro come il settore di catena caratterizzato dalla maggiore mobilità e quindi dalla più elevata attività sismotettonica (Mantovani et alii, 2009, 2012a,b, 2013, Viti et alii, 2011). Nonostante che negli ultimi 4 secoli l’intensità delle scosse sia stata per ben 14 volte uguale o superiore a X (1626, X; 1638, XI e X; 1659, X; 1783, XI, X, XI; 1832, XI; 1835, X; 1836, X, 1854, X; 1870, X; 1905, X-XI; 1908, XI) la carta PSHA (Fig. 4) suggerisce che nei prossimi 50 anni la probabilità di avere scosse di intensità superiore a VIII (o IX nella fascia centrale) sia molto piccola (<10%).
Considerato che il tempo di ritorno medio nel periodo sopra citato è di circa 27 anni per scosse di I > IX, la previsione della carta PSHA è ingiustificabile anche dal punto di vista probabilistico. Inoltre, come per i casi precedenti, va rimarcata la grande variabilità degli intervalli temporali che hanno separato le varie scosse (da meno di un anno a oltre cento anni), che rende estremamente incerta la valutazione probabilistica del tempo che manca alla prossima scossa forte. Quindi i Calabresi vanno informati che una scossa di intensità X o XI (cioè molto superiore a quella prevista dalla carta PSHA), non può essere classificata come poco probabile.
L’ultima Regione da considerare per concludere la nostra analisi è la Sicilia (Fig. 4). Anche questa zona è tristemente famosa per la sua sismicità, soprattutto in ricordo della ormai celeberrima scossa di Messina del 1908 che procurò il più grande tsunami avvenuto in Italia in epoca storica. Comunque, nonostante questa pessima fama, la storia sismica di questa Regione non è caratterizzata da un numero elevato di scosse, essendo solo 11 i terremoti forti (I ? IX) documentati dal 1000, di cui 5 di intensità uguale o superiore a X (1169 I=X, 1542, X; 1693, XI, 1908, XI; 1968, X). Tranne la scossa del 1968, avvenuta nella parte occidentale dell’isola (Belice), tutte le altre scosse (comprese quelle di I ? IX) hanno colpito la Sicilia orientale, che sembra quindi essere la più pericolosa in assoluto, come risulta chiaramente dalle conoscenze sull’assetto tettonico di questa zona (e.g., Mantovani et alii, 2009). La carta PSHA (Fig.4) prevede che nella maggior parte del territorio regionale la probabilità che nei prossimi 50 anni si verifichi una scossa di I > VIII (o VII in alcune zone) è molto piccola (<10%). Solo nel Siracusano e nel Messinese l’Imax attesa sale a IX. Anche in questo caso, le previsioni della carta attuale sono gravemente fuorvianti, almeno per la Sicilia orientale, poiché indicano come poco probabili (nei prossimi 50 anni) scosse di grado X e XI, senza presentare nessuna evidenza concreta a supporto di tale ipotesi.
Per riconoscere la distribuzione reale della pericolosità sismica in questa regione, e nelle altre discusse sopra, sarebbe necessario svolgere studi che tengano nel dovuto conto i danni osservati nel passato (evitando valutazioni probabilistiche, come quella effettuata con la procedura PSHA) e che diano indicazioni (in base alle conoscenze sull’attuale contesto sismo tettonico), sulla presenza di eventuali strutture sismogenetiche non rivelate da terremoti storici. A questo scopo potrebbe essere utilizzata, per esempio, la metodologia già applicata alla Toscana ed Emilia Romagna (Mantovani et alii, 2011, 2012a, 2013).
Le principali scosse di terremoto nella storia di Roma. Si noti come i monumenti millenari (Colosseo su tutti) abbiano subìto numerosi danni nel tempo
ANNO |
EPICENTRO E MAGNITUDO |
DANNI PRINCIPALI |
15 |
5.1 |
Crolli nelle Mura Serviane |
223 |
? |
Danni nel Colosseo |
258 |
? |
Lesioni in numerose abitazioni |
443 |
> 5.0 |
Crolli nel Teatro di Pompeo e nella basilica di S. Paolo Fuori le mura. Possibili danni anche al Colosseo. Ripetutamente confermato anche dall’archeosismologia, incerta la magnitudo, possibile epicentro nei pressi di Gallicano |
476 |
? |
Sciame sismico di 70 scosse. Crolli nel Colosseo |
801 |
5.3 |
Crollato tetto basilica S. Paolo fuori le mura, danni alla chiesa di S. Petronilla e Colosseo |
896 |
? |
Danni e lesioni a Colosseo e S. Giovanni in Laterano |
1091 |
? |
Raggiunto VII grado scala MCS |
1231 |
Cassino 5.1 |
Danni nella Torre de’Conti e nel Colosseo dove crolla la parete esterna sud-ovest (danno ancora oggi visibile) |
1331 |
? |
Danni alla Torre delle Milizie |
1349 |
Confine Lazio-Molise 5.9 |
Forse il più forte sisma mai avvertito a Roma. Crollati diversi edifici ed alcune torri oltre a numerosi danni nelle varie chiese (S. Pietro, S. Paolo, S. Giovanni Laterano). Lesioni anche al Colosseo ed alla Colonna Antonina (spostamento tra il nono ed il decimo rocchio). Evento testimoniato anche dal Petrarca |
1438 |
Grottaferrata 5.3 |
Notizie scarse, difficile quantificare i danni. Colpita la zona dei Colli Albani, diversi crolli e lesioni anche a Roma |
1703 |
L’Aquila 6.7 |
Crollati tre archi al Colosseo. Avvertite decine di scosse. Danni al campanile di S. Paolo, lesioni in numerose chiese e palazzi. Per diversi giorni i cittadini dormirono all’aperto |
1730 |
Val Nerina 5.9 |
Danni alla Basilica di S. Pietro ed in Vaticano |
1806 |
Colli Albani 5.5 |
Danni e lesioni in diversi edifici, raggiunto il grado VII della scala MCS. Le acque del Tevere mostrarono un insolito abbassamento |
1812 |
Roma 4.9 |
Crolli nella facciata della chiesa di S. Paolo alle Tre Fontane. Raggiunto il VI-VII grado scala MCS. Segnalati tre morti nel crollo di una casa vicino alla Basilica di San Paolo |
1829 |
Colli Albani 4.8 |
Sciame sismico di 300 scosse, ben avvertito a Roma dove però si registrano lesioni lievi |
1895 |
Castelporziano 4.8 |
Crolli e danni a Testaccio e Trastevere |
1899 |
Colli Albani 5.1 |
Lesioni più intense nell’area attorno all’attuale stazione Termini. Crepe e fenditure in numerosi palazzi, anche ministeriali (compreso Palazzo Chigi). Diversi edifici dichiarati inagibili e sgomberati. Lesioni e cadute di calcinacci in numerose chiese, alcuni feriti a Roma |
1909 |
Monte Mario 4.7 |
VI-VII grado scala MCS, lesioni lievi |
1911 |
Frascati 4.7 |
V-VI grado scala MCS, lesioni lievi |
1915 |
Avezzano 7.0 |
Danni alle mura aureliane e all’acquedotto Claudio, lesioni nelle chiese di S. Agata dei Goti e Santa Maria del Popolo. Danneggiato anche il colonnato del Bernini e la stessa Basilica di S. Pietro. La statua di S. Paolo cade dalla facciata della basilica di S. Giovanni. Lesioni in circa 300 punti della città |
1919 |
Anzio 5.5 |
Probabile epicentro nel Mar Tirreno. Nettamente avvertito lungo la costa ed a Roma ma con lesioni limitate |
1927 |
Colli Albani 4.9 |
Lievi lesioni in vari edifici e chiese. Una palla di pietra che ornava il campanile della chiesa di S. Carlo cadde e provocò la morte di un passante |
1979 |
Val Nerina 5.8 |
Bene avvertito a Roma, molte persone in strada. Valutato VI-VII grado scala MCS, lievi lesioni |
1995 |
Roma sud 3.6 |
Sciame sismico concentrato nella zona Sud. Nonostante la scarsa magnitudo, fu ben avvertito, in particolare nlla zone Cecchignola e Laurentino |
1997 |
Colfiorito 6.0 |
Chiaramente avvertito soprattutto nella periferia nord. Abitanti in strada, lesioni lievi |
2005 |
Mar Tirreno 4.8 |
Ben avvertito a Roma dove ha raggiunto il grado V-VI della scala MCS |
2009 |
L’Aquila 6.3 |
Nettamente avvertito in tutta la città, centinaia di chiamate ai Vigili del Fuoco, lievi lesioni |
BIBLIOGRAFIA
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- Mantovani E., Babbucci D., Tamburelli C. and Viti M. (2009) – A review on the driving mechanism of the Tyrrhenian-Apennines system: Implications for the present seismotectonic setting in the Central-Northern Apennines. Tectonophysics, 476, 22-40.
- Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Cenni N., Tamburelli C., Vannucchi A., Falciani F., Fianchisti G., Baglione M., D’Intinosante V. e Fabbroni P. (2011) – Sismotettonica dell’Appennino Settentrionale. Implicazioni per la pericolosità sismica della Toscana. Regione Toscana, Centro stampa Giunta Regione Toscana, Firenze, pagg. 88. (http://www.rete.toscana.it/sett/pta/ sismica/index.shtml)
- Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Cenni N., Tamburelli C., Vannucchi A., Falciani F., Fianchisti G., Baglione M., D’Intinosante V. e Fabbroni P. (2012a) – Potenzialità sismica della Toscana e definizione di criteri per interventi di prevenzione. Regione Toscana, Centro stampa Giunta Regione Toscana, Firenze, pagg. 140. http://www.rete.toscana.it/sett/pta/ sismica/index.shtml)
- Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Cenni N., Tamburelli C. and Vannucchi A. (2012b) – Middle term prediction of earthquakes in Italy: some remarks on empirical and deterministic approaches. Bollettino di Geofisica Teorica ed Applicata, 53, 89-111.
- Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Cenni N., Tamburelli C., Vannucchi A., Falciani F., Fianchisti G., Baglione M., D’Intinosante V., Fabbroni P., Martelli L., Baldi P. e Bacchetti M. (2013) – Assetto tettonico e potenzialità sismica dell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo e Val Padana. Regione Toscana e Regione Emilia-Romagna, Centro Stampa- Regione Emilia-Romagna, pagg. 168. (http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/servizio-geologico-sismico-suoli e http://www.rete.toscana.it/sett/pta/ sismica/index.shtml
- Viti M., Mantovani E., Babbucci D. and Tamburelli C. (2011) – Plate kinematics and geodynamics in the Central Mediterranean. Journal of Geodynamics, 51, 190-204.