Si continua a discutere sulla opportunità delle scelte che portarono, dopo la catastrofica frana del 7 marzo 2005, al totale trasferimento dell’abitato di Cavallerizzo. Scelte che furono allora prese dalla Protezione Civile Nazionale in un quadro di concertazione con le istituzioni coinvolte ed i cittadini interessati. E’ umanamente comprensibile che alcuni di questi, fortemente attaccati alle loro radici, ancora oggi vogliano ritornare nelle loro case e rivivere quel borgo antico in cui sono nati loro e i loro antenati, e in cui le case stesse sono traccia visibile della loro memoria storica. Ma le mura, le pietre, la storia hanno il loro corso inesorabile e vengono, prima o dopo, inghiotte dal tempo stesso che le ha generate.
Di fronte ai sentimenti e alle tragedie umane, qualunque scelta che cerchi di porre rimedio alla tragicità degli eventi avversi diventa difficile e contrastata. Quindi, lungi da me la voglia di giudicare le scelte di natura politica e sociale di cui si è fatto carico il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile. Scelte che, tuttavia, avrebbero dovuto in primo luogo essere delegate alle persone direttamente interessate e su cui il CNR non ha avuto alcun ruolo. Detto questo, tuttavia, per essere stato il Responsabile CNR per gli studi tecnico-scientifici a supporto della Protezione Civile Nazionale (DNPC), nonché titolare di altri progetti di ricerca sull’area in cui ricade la stessa Cavallerizzo (Progetto Interregionale Europeo RISCMASS e Convenzione con lo stesso Comune), nonché estensore di diverse relazioni/pubblicazioni, sento la necessità di fare ulteriore chiarezza su alcuni aspetti tecnici.
Aspetti che non possono essere elusi o, peggio ancora, negati. Aspetti già noti ai geologi professionisti e alle maestranze tecniche, per essere stati pubblicati nella rivista ufficiale dell’Ordine Nazionale dei Geologi (riportata in questo sito web). Va quindi anzitutto ricordato che già nel Maggio 2005 erano stati correttamente interpretati, così come è stato poi ulteriormente confermato dalle successive campagne indagini, l’assetto e le geometrie degli ammassi instabili, basati sui numerosi dati idrogeologici, stratigrafici e geomorfologici già acquisiti; tali daconsentire la formulazione dialcuni “Scenari di Pericolosità”in rapporto allediverse tipologie franose individuate (per cinematismo e profonditàe per le varie parti dell’Abitato).
Infatti, sulla base di tali dati e con riferimento al Centro Storico, emergeva chiaramente-già a quella data-che:
- IL CENTRO STORICO E’ FONDATO SU UN CORPO DI FRANA INSTABILE. Le masse di cristallino su cui poggia l’Abitato sono dislocate in modo anomalo al di sopra dei depositi sedimentari postorogeni. Dislocazioni che sono anche deducibili dai contatti geologici (e non solo dai sondaggi) e che vedonoun loro avanzamentonon uniforme, variabile da almeno 450 a 600 metri, con spessori massimi di circa 50 metri, per un fronte di circa 1 chilometro. Avanzamenti avvenuti su una superficie poco inclinata e a valle della faglia, su cui invece si sviluppa su una tettonica subverticale.
Ovvero si tratta di una geometria tipica di dislocazioni gravitative mediamente profonde, palesemente non ascrivibile a dislocazioni tettoniche; dove la tettonica svolge essenzialmente un ruolo di predisposizione (formando il rilievo, fratturando le rocce e creando presupposti di natura idrogeologica), ma non di innesco (legato alle piogge e alla sottospinta idraulica). Le masse di cristallino su cui è costruito l’abitato rappresentano quindi un corpo di frana. In questo quadro emergono due questioni: a) la prima è di natura cinematica, ovvero “come” si sviluppa il movimento; sitratta di unacollasso franoso, avvenuto in modo veloce e in una unica soluzione? Oppure la frana avanza con un movimento lento e progressivo, combinato ad accelerazioni impulsive per le diverse sottospinte idrauliche (in rapporto alla piovosità)? b) la seconda è legata alla prima ipotesi e riguarda “quando” si sarebbe determinato detto collasso. Per rispondere a queste due domande occorre considerare i dati acquisiti. La forte disparità di avanzamento del fronte dislocato (dai 450 ai 600 metri) è più coerente con una dislocazione veloce, avvenuta in un lontano passato (certamente molto prima della fondazione dell’Abitato e prima dei depositi pedemontani che vi si sono adagiati al di sopra), così come ipotizzato-in prima istanza-nello studio geomorfologico del prof. Guerricchio. D’altra parte, il monitoraggio dei movimenti al suolo, ottenuto con l’impiego di tecniche di interferometria satellitare da due diversi sedi universitarie (Firenze per il DPCN e Napoliper il progetto RISCMASS) e su lunghi periodi di osservazione (rispettivamente post frana e pre frana), evidenzia movimenti uniformi dell’intero ammasso dislocato, di ordine centimetrico, che potrebbero essere connessi con un cinematismo lento e progressivo (figura 1). L’esistenza di tali movimenti è stata suffragata da osservazioni geomorfologiche in campagna, che hanno permesso didelineareuna nicchia instabile che, partendo dalla strada provinciale a Nord dell’Abitato risale verso monte seguendo prima una incisione fino all’acquedotto, e ivi raccordandosi con una scarpata di frana. A quando risale tale scarpata? Su di essa ci sono dei licheni, forse databili, ma la risposta sarà comunque dubbia. I dati storici non ne parlano espressamente, ma l’evento del 1758 fa riferimento al “pericolo che la sovrastava..”, si tratta della nicchia in questione?Dal nostro punto di vista tale nicchia è attiva e può subire modeste rimobilizzazioni connesse alla sottospinta idraulica (in questo caso con occorrenza pluricentenaria); ed è alquanto credibile che l’abitato abbia subito in passato una qualche rimobilizzazione di questo tipo. Quindi, mentre è indubbio che l’abitato è su un corpo di frana, è altrettanto verosimile pensare che le due ipotesi (collasso o cinematismo lento con piccole rimobilizzazioni plurisecolari) coesistano.
- NON E’ VERO CHE L’INSTABILITA’ E’ RELEGATA ALLE COLTRI SUPERFICIALI (e quindi facile da eliminare). La coltre detritica pedemontana su cui poggia parte dell’abitato ha uno spessore di circa 12 metri; al di sotto ci sono gli ammassi di cristallino dislocati. Le masse instabili, come testimoniano i monitoraggi inclinometrici da noi eseguiti dal 2000 al 2004, evidenziavano un piano di scorrimento a 35 metri di profondità, ovvero molto al di sotto della predetta coltre e in prossimità del contatto cristallino dislocato/argille postorogene. Dati, questi ultimi che sono in assonanza con la posizione della falda acquifera, dentro cui verosimilmente si sviluppa lo scorrimento, e che nello stesso periodorisultavaavere un tetto localizzato tra 20 e 40 metri (e quindi la falda essere al di sotto di tali valori), a seconda dei piezometri variamentedislocati nel centro abitato. La strozzatura più superficiale, rilevata una settimana prima del collasso all’interno del tubo inclinometrico piazzato nel corpo di frana di primo innesco, si trovava a 28 m di profondità; verosimilmente in accordo con i monitoraggi inclinometrici, che evidenziavano scorrimenti a profondità leggermente superiori).Il primo corpo franato in ordine temporale, considerabile come corpo di innesco, aveva una profondità ben maggiore delle coperture detritico eluviali. Queste ultime svolgono, rispetto ai processi di instabilità, un ruolo non determinante, essendo invece la falda idrica localizzata all’interno e alla base delle masse cristalline instabili, in coincidenza con dei livelli altamente fratturati e milonitizzati. Più in generale esiste quindi una instabilità complessa, connessa con gli assetti idrogeologici e gli affioramenti locali, che vede meccanismi franosi di vario tipo; mentre in prossimità della faglia la tettonica, oltre a svolgere un ruolo predisponente, può generare di riflesso movimenti gravitativi profondi.
- NON E’ FACILE METTERTE IN SICUREZZA CAVALLERIZZO. Se la franosità fosse stata esclusivamente superficiale e connessa con le coltri detritichemettere in sicurezza i versanti sarebbe stato sicuramente più semplice ed efficace. Le frane sarebbero state poco profonde e il substrato di cristalllino in posto, a cui ancorare una eventuale palificata, sarebbe stato sufficientemente affidabile. Invece la presenza di falde acquifere alimentate dalla vicina faglia e localizzate nelle rocce cristalline, comunque dislocate sulle argille ed instabili, pone seri problemi esecutivi per questa tipologia di intervento (pali profondi e di grande diametro, con gravi rischi per il pur sempre possibile “effetto diga” generato dalla paratia). Mentre, drenaggi profondi, sicuramente utili al contenimento delle risalite d’acqua, se non eseguiti in modo idoneo (e con gallerie drenanti) vanno soggette nel tempo a fenomeni di filtrazione e perdita di efficacia.
Studi sull’argomento, in ordine temporale:
MONGIOVI L., (1982): “Indagini e prove di laboratorio sulla frana di Cavallerizzo”. Tesi di dottorato dell’UNICAL, Dipartimento Difesa del Suolo, Cosenza.
GUERRICCHIO A. (1998): “Studio geologico-tecnico e progetto di massima degli interventi di stabilizzazione del movimento franoso della Frazione di Cavallerizzo – Comune di Cerzeto (CS)”. Atti del Comune di Cerzeto, 1999.
RIZZO V., FRAGALE F. (1999): “Misure ed elaborazione di dati inclinometrici e piezometrici della frana di Cavallerizzo di Cerzeto (CS)”, Rapporto Interno CNR-IRPI, n° 743.
RIZZO V. (1999): “Drenaggio controllato di una frana, moderne tecnologie di monitoraggio ed uso diversificato delle opere”, Elaborati del Workshop “La frana di Cavallerizzo (Cerzeto, Cosenza). Stato delle conoscenze e problematiche per il consolidamento dell’abitato”, Sala Consiliare di Cerzeto, 16 settembre 1999, Rapporto interno IRPI n.757.
RIZZO V., TANSI C. (2005): “Relazione del sopralluogo sul dissesto idrogeologico nel Comune di Cerzeto (Località Cavallerizzo) – Descrizione dei movimenti franosi nella frazione di Cavallerizzo ed aree limitrofe”, Rapporto interno DNPC, Incarico del Dipartimento di Protezione Civile prot. n. DPC/PRE/0013944, maggio 2005.
RIZZO V., CALENDINO A., CARUSO P., CURCIO G., CASALINOVO R., FERRARO M., MICIELI M., PETRUCCI O., SOLERI S., CALOIERO T. (2005): “Indagine Storica – Indagini geognostiche – Relazione sulla pericolosità nel Centro Abitato di Cavallerizzo”, Rapporto interno DNPC, Incarico del Dipartimento di Protezione Civile AFI/0032932, luglio 2005.
RIZZO V. (2006): “Metodologie per la gestione del rischio di frana e dei movimenti del suolo con scenari di politica assicurativa”, Progetto Europeo InterregIIIb – Medocc “RISCMASS” Asse 4, misura 4.3. Rubbettino Editore, 177pp, Soveria Mannelli, settembre 2006.
IOVINE G., PETRUCCI O., RIZZO V., TANSI C. (2006): The March 7th 2005 Cavallerizzo (Cerzeto) landslide in Calabria-SothernItaly. Proc. IAG 2006, Engineering Geology for Tomorrow Cities, Paper number 785, pp 1-12, London.
RIZZO V. (2007). The landslide of Cavallerizzo (Cerzeto, Cosenza): alert criteria, aspects and issues.Rivista di Geologia Tecnica, pp 1-33, 2007.