Ci risiamo, purtroppo. Noi di MeteoWeb siamo stati facili profeti quando, dopo la tragica alluvione in Sardegna del novembre scorso, abbiamo detto che presto ci saremmo ritrovati di fronte ad un altro disastro idrogeologico, ad un altro flash flood, ad un’altra alluvione. Il geologo Giampiero Petrucci, esperto di monitoraggi ambientali e reduce dall’alluvione sarda, descrive cause e soluzioni per eventi che ormai si ripetono con troppa frequenza ed intensità.
Non esiste regione d’Italia che negli ultimi tempi si sia rivelata immune da dissesti, frane, alluvioni, inondazioni. Il nostro territorio è completamente abbandonato, non ha difese agli attacchi della natura, non resiste neanche alle perturbazioni “normali”, figuriamoci se può fronteggiare positivamente precipitazioni al di sopra delle medie stagionali. Senigallia è l’ultima tessera di un mosaico tragico ed avvilente nella sua ripetitività, nel suo evolvere simile a molti eventi già visti e commentati. Non si può dare sempre la colpa, come avviene in tv e perfino nei Tg, al destino, alla fatalità, alla violenza delle piogge. No, qui è il metodo ed il sistema che sono sbagliati, è l’approccio delle istituzioni e della politica che rimane lacunoso, è l’organizzazione generale della prevenzione che non esiste: la “svolta buona”, tanto cara al nuovo Governo e nonostante tutte le buone intenzioni, è ancora lontana, troppo lontana. Finchè i fondi, se e quando verranno effettivamente messi a disposizione, saranno gestiti da persone senza esperienza di salvaguardia diretta del territorio e da mestieranti della politica, finchè ai geologi ed ai tecnici ambientali non verrà dato ascolto, finchè la popolazione non sarà direttamente e seriamente informata dei rischi e delle criticità presenti nel territorio in cui vive, finchè non verrà aggiornata la cartografia ambientale e potenziati i sistemi di prevenzione ed allarme, questi disastri si ripeteranno con continuità.
Nessuno, tanto meno noi, possiede la bacchetta magica, ma noi possiamo, anzi dobbiamo, da cittadini prima che da tecnici, almeno continuare a persistere nelle nostre richieste agli amministratori ed ai politici nonché insistere a chiedere riforme, serie riforme, anche dal punto di vista ambientale. Non ci vuole poi molto, basta il buon senso (ma esiste nella nostra politica?), l’esperienza (ma esiste nei nostri dirigenti ed amministratori?), l’adeguamento delle infrastrutture e delle tecnologie. Le parole non servono più, hanno detto recentemente in molti. Bene, ecco i fatti che noi chiediamo. Presentiamo qui un “pentalogo”, cinque punti-chiave per la salvaguardia effettiva del territorio, su cui intendiamo aprire sulle nostre colonne un dibattito nel quale, finalmente, vorremmo vedere tra i partecipanti anche qualche autorità. Si parla tanto di lontananza della politica dal “paese reale” e dai problemi dei cittadini e del territorio. Bene, ecco gli spunti sui quali ridurre, o almeno provare a ridurre, questa distanza.
Revisione totale della cartografia ambientale relativa al rischio idrogeologico, con particolare riferimento alle carte del PAI (Piano di Assetto Idrogeologico, ndr), rivelatesi più volte inefficaci ed inaffidabili nonché superate dagli ultimi eventi alluvionali, estesa a tutto il territorio nazionale
Istituzione su tutto il territorio nazionale del “monitoraggio idrogeologico immediato”. Implementazione delle reti pluviometriche esistenti, sviluppo di nuove, collegamento H24 della strumentazione alle centrali di monitoraggio e controllo, istituzione di appositi canali di collegamento tra le centrali ed i Sindaci (aspetto totalmente mancato nell’alluvione sarda). Il pericolo, come ormai abbiamo imparato, non arriva più soltanto dai fiumi a carattere nazionale (Po, Arno, Tevere, ecc.), ma anzi sembra invertirsi la tendenza: sono i bacini più piccoli, e forse per questo più trascurati (sia per la manutenzione degli alvei che per i monitoraggi), a rappresentare i rischi maggiori (Sardegna e Marche sono gli ultimi esempi eclatanti al riguardo). Chi aveva mai sentito parlare prima d’ora del Cedrino o del Misa?
Velocizzare l’iter burocratico del “decreto legge” relativo all’istituzione del cosiddetto “geologo di zona”, con la creazione di apposite squadre multidisciplinari coordinate e gestite da geologi esperti, capaci di individuare nel territorio le aree più a rischio e le soluzioni più idonee alla sua salvaguardia, compresa la realizzazione di accurati “piani di monitoraggio ambientale”. In questo ambito il Consiglio Nazionale dei Geologi può e deve essere maggiormente ascoltato: i geologi sono una risorsa troppo trascurata e poco ascoltata nel nostro paese
Implementare la digitalizzazione in ambito GIS-SIT della cartografia ambientale per tutti i Comuni d’Italia. Sviluppo di carte tematiche relative ai principali parametri ambientali (falda freatica, qualità dell’aria, suolo, sottosuolo, inquinamento acustico, frane, effetti di sito, ecc.), con inserimento dei dati pregressi tramite sinergia dei vari Enti preposti (Comune, ARPA, Autorità di Bacino, Provincia, Regione, Consorzi, ecc.). Aggiornare dunque l’intera cartografia a livello comunale, ottenendo per sovrapposizione ed incrocio dei dati la valutazione delle aree più a rischio
Censimento dei fabbricati, con particolare riferimento all’abusivismo, nelle aree più a rischio individuate con la metodologia descritta precedentemente. Verifiche della loro stabilità e vulnerabilità. Eventuale delocalizzazione
Sembra complicato? Qualcuno si domanda quanto tempo e quali costi si dovrebbero affrontare? Non sono necessari miliardi di euro, soprattutto per i primi due punti. Abbiamo già dimostrato, come con circa 200mila euro si potrebbe installare un sistema di monitoraggio idrogeologico immediato per le aree colpite dall’alluvione sarda. Ma nessuno si muove, si preferisce investire i soldi, i nostri soldi, su opere faraoniche pronte, forse, tra 20 anni e che, quando saranno finite, risulteranno già superate ed inutili. Contro la stupidità e la mancanza di volontà, purtroppo, non c’è difesa.
Ma noi attendiamo nuovamente risposte. Noi non ci fermeremo, così come non si fermerà la natura. La domanda finale è una sola: dove colpirà la prossima alluvione? La risposta è ovvia, non lo sappiamo. Ma sappiamo che, dovunque essa colpirà, non troverà un territorio pronto ad accoglierla in maniera sicura. Questa, ancora una volta, è la triste verità di cui saremo facili profeti.