Come si formano le nuvole? E’ una delle prime domande che tutti si pongono, a cominciare dai bambini. Molto si sa ma tanti elementi utili ad una risposta completa ancora mancano. Per esempio, non e’ chiaro fino a che punto questi ammassi condensati di vapore acqueo influenzino il clima sul nostro pianeta. Un quesito fondamentale per la meteorologia, ma anche per la fisica particellare e la chimica atmosferica. Ed e’ stato proprio un gruppo di fisici e chimici a trovare la risposta: uno studio guidato dai ricercatori del Paul Scherrer Institute (PSI) in Svizzera ha scoperto la chiave per spiegare il legame tra nuvole e cambiamenti climatici. Lo rileva Media Inaf, presentando i risultati di uno studio del CERN di Ginevra, ottenuti grazie all’esperimento CLOUD (Cosmics Leaving OUtdoor Droplets) pubblicati su Science.
Cinque pagine che spiegano com’e’ stato possibile riprodurre in laboratorio un fenomeno prima mai osservato artificialmente: il primissimo stadio di formazione delle nuvole. Si sa con certezza, prosegue il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica, che le goccioline delle nubi si formano quando il vapore nell’atmosfera si condensa. Ma il processo non inizia qui: per avviarlo, serve la mano del cosiddetto nucleo di condensazione, ovvero le particelle liquide o solide a cui il vapore deve ”attaccarsi” prima ancora che nascano le gocce di vapore che daranno origine alla nuvola.
Qui la prima risposta dalla camera di CLOUD: i ricercatori del PSI sono stati in grado di riprodurre in maniera realistica l’ambiente atmosferico, nuclei di condensazione compresi. ”La prima cosa da fare e’ stata pulire la camera nel miglior modo possibile” ha detto a Media INAF Urs Baltensperger, capo del Laboratorio di Chimica Atmosferica al PSI e leader dello studio. ”Infatti qualunque contaminazione puo’ portare a risultati errati di un fattore 1000. Dopo aver creato un ambiente pulito, abbiamo aggiunto in maniera controllata gli ingredienti di cui avevamo bisogno: abbiamo copiato da Madre Natura”. A questo punto, non restava altro che osservare. E quello che i ricercatori hanno notato e’ stato un legame strettissimo tra la formazione dei nuclei di condensazione e la presenza di due ingredienti in particolare: acido solforico e molecole organiche ossidate (ovvero molecole che hanno subito una perdita di elettroni). ”Per la prima volta abbiamo osservato inequivocabilmente questa connessione” spiega Baltensperger. ”Le molecole organiche ossidate (le stesse di cui sentiamo il profumo nelle foreste) sono legate direttamente alle molecole di acido solforico. Tale legame forma dei cluster che evaporano piu’ lentamente di quelli formati solo da acido solforico: per questo fanno in tempo a dare origine a molte piu’ particelle – con una velocita’ di formazione di circa 10.000 volte superiore”. Ecco quindi da dove hanno origine i ”semi” delle nuvole: la miscela di acido solforico e molecole ossidate e’ responsabile dei primi embrioni delle particelle che andranno a formare le nubi: i famosi nuclei di condensazione. Si parla di ordini di grandezza decisamente piccoli: ”Per noi una particella ha una dimensione tra 1.5 nm e 100 micrometri, definizione molto diversa da quella che si usa in astrofisica” precisa Baltensperger. Ma e’ proprio a partire da questi processi microscopici che hanno origine fenomeni di grande impatto per il pianeta.
La formazione delle nuvole e’ uno di questi: cruciale e’ la loro influenza sul clima, che dipende proprio dal processo scoperto dai ricercatori del PSI. E non e’ un caso che uno degli ingredienti fondamentali sia la stessa molecola sprigionata nelle foreste. ”Il nostro esperimento ha mostrato che la concentrazione di acido solforico nell’atmosfera da’ origine alle particelle delle nuvole, quando sono presenti anche alcuni composti organici ossidati. Questi composti sono di origine biologica, proprio come quelli emessi da molti alberi” dice Siegfried Schobesberger, fisico dell’Universita’ di Helsinki e co-autore dello studio. ”Questo conferma il ruolo fondamentale delle emissioni delle foreste nella formazione delle particelle atmosferiche, e quindi nel primissimo stadio della formazione delle nuvole”.
La scoperta fatta con CLOUD e’ stata poi testata grazie allo sviluppo di modelli teorici.
Si tratta di un modello teorico che simula la formazione delle particelle nell’atmosfera, cosi’ come il loro comportamento. Prossimi passi? Estendere il raggio di azione di CLOUD, e scrutare altre zone dell’atmosfera. ”Al momento CLOUD ha cercato di spiegare la formazione di nuove particelle nello strato inferiore dell’atmosfera, perche’ e’ qui che sono state effettuate piu’ osservazioni” spiega Federico Bianchi, chimico e co-autore dell’articolo. ”Sarebbe interessante in futuro confrontare CLOUD anche con le osservazioni effettuate nella alta troposfera”. Federico Bianchi, dottorando al Paul Scherrer Institute, ha contribuito allo studio analizzando la composizione chimica delle particelle responsabili della formazione delle nuvole. Non e’ l’unico italiano coinvolto: la prima firma dell’articolo di Science e’ del fisico Francesco Riccobono, che ha lavorato sull’esperimento CLOUD dal 2009 e attualmente sta facendo un postdoc al Joint Research Centre della Commissione Europea.