La temibile faglia Nord-Anatolica e l’altissimo rischio sismico in Turchia, quali sono le interazioni con le faglie del Mediterraneo?

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Come sappiamo la Turchia, assieme all’Italia, alla Grecia, è un paese ad altissimo rischio sismico. Quasi tutta la Turchia storicamente è stata interessata da potenti terremoti che hanno portato morti e gravi devastazioni. La causa di questa grande esposizione ai fenomeni sismici è da attribuire alle tante faglie che bordano l’altopiano turco, con una contiguità di strutture sismogenetiche fino all’Armenia, all’Iran e al versante più occidentale dell’imponente catena dell’Himalaya (che non per caso sono considerate delle aree ad alto rischio di forti terremoti, anche oltre i 7.5 – 8.0 Richter). L’ultimo forte terremoto che ha devastato la Turchia in tempi recenti è quello del 17 Agosto 1999 che distrusse numerose città sull’altopiano turco occidentale. Anche quel sisma fu localizzato lungo una faglia appartenente alla struttura sismogenetica dell’Anatolia settentrionale, la meglio nota faglia Nord-Anatolica, la responsabile dei gravi disastri che ciclicamente flagellano il territorio turco. In tempi più ravvicinati, nel 2003, un terremoto di magnitudo 6.4 richter si abbatte nella città sudorientale di Bingol, causando oltre 177 morti. Nel Marzo 2010 un sisma di intensità 6,0 richter che fece crollare case mal costruite in cinque villaggi della provincia di Elazig, sempre nell’est della Turchia, uccidendo 51 persone.

Il 19 Maggio 2011 un sisma di magnitudo di 5.9 Richter, colpì la città occidentale di Simav facendo 2 vittime e 79 feriti. Il sisma fu avvertito anche a Istanbul, megalopoli ad alto rischio sismico, tanto che il premier Recep Tayyip Erdogan, allora fresco di campagna elettorale, aveva promesso di spostare due milioni di abitanti in aree periferiche da trasformare in città satelliti meno pericolose. Un piano a dir poco intraprendente, ma che non è stato concretizzato nella realtà.La faglia Nord-Anatolica è suddivisa in numerosi segmenti, ciascuno dei quali è in grado di generare forti terremoti. Negli ultimi sessanta anni l’intera struttura sismogenetica ha prodotto numerosi eventi sismici. I più forti dei quali sono avvenuti nel 1939 e nel 1943 con magnitudo che ha raggiunto i 7.8 Richter. La zona di faglia interessata dal terremoto del 1999 aveva già generato terremoti nel passato, nel 1509 e nel 1754. La successione di eventi sismici osservata negli ultimi 60 anni mostra una evidente progressione della sismicità da Est verso Ovest. Queste considerazioni avevano portato alla conclusione che la zona interessata dal terremoto del 1999 fosse una “lacuna sismica”, ovvero una zona ad elevata probabilità di occorrenza di forti eventi sismici. Il terremoto del 17 agosto 1999 è quindi avvenuto in zona nota, in cui le faglie sismogenetiche erano state riconosciute e dove si poteva attendere un evento di queste dimensioni. Sfortunatamente le conoscenze attuali non permettono di stabilire in anticipo quando un simile evento distruttivo si manifesterà. Tuttavia questa circostanza dimostra come sia possibile avere informazioni sufficienti per pianificare opere di prevenzione e di riduzione degli effetti dei terremoti anche se la loro previsione a breve termine è un obiettivo ancora lontano.

F1_larLa faglia Nord-Anatolica, negli ultimi millenni, in almeno due occasioni si è rotta, innescando violentissimi eventi tellurici che hanno prodotto importanti ripercussioni anche in Europa. Come ha sottolineato Prof. Enzo Mantovani (docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena), in un suo prestigioso editoriale, l’ultima rottura della faglia Nord-Anatolica risalirebbe al 1939, quando un fortissimo terremoto, di ben 7.8 Richter, è avvenuto nell’estremità orientale della faglia nord anatolica. Come ci spiega il Prof. Mantovaniquesta scossa ha prodotto, per un segmento di faglia di oltre 300 km, uno spostamento laterale verso ovest di oltre 7 metri del blocco anatolico rispetto alle strutture fisse europee situate a nord della faglia. Questo disaccoppiamento iniziale è stato poi seguito negli anni successivi da altre scosse molto forti, che hanno determinato altri scorrimenti laterali nei settori contigui della faglia. In seguito a questa serie micidiale di disaccoppiamenti sismici, l’intero blocco anatolico-egeo è riuscito a spostarsi verso ovest di alcuni metri rispetto alle strutture europee, implicando una velocità di migrazione notevolmente superiore rispetto a quella solita.Questo repentino ed esteso spostamento dell’intero blocco anatolico-egeo ha prodotto una notevole accelerazione della compressione, orientata circa Est-Ovest, nelle zone africano-adriatiche che sono direttamente sollecitate da questa spinta, cioè la zona ionica, la Calabria e il blocco ibleo.

fig_47La convergenza tra il blocco anatolico-egeo e la zona ionica meridionale è stata assorbita in modo relativamente semplice lungo la fossa ellenica, dove la litosfera ionica (sottile e pesante) si è immersa senza incontrare forti resistenze sotto il blocco egeo. Il meccanismo di raccorciamento tettonico è stato invece molto più faticoso e complesso nella zona situata a nord della faglia di Cefalonia, in quanto la spessa e leggera litosfera che caratterizza la placca continentale adriatica ha incontrato una resistenza molto più elevata (per ragioni di galleggiamento isostatico) a sottoscorrere le Ellenidi settentrionali. Quindi, per assorbire il raccorciamento imposto dall’avanzamento del blocco anatolico-egeo, la  litosfera adriatica ha dovuto  ispessirsi e sollevarsi. Questa specie di rigonfiamento ha accentuato la resistenza allo spostamento laterale del blocco calabro, e quindi alla possibile attivazione delle faglie presenti in tale struttura. Questa interpretazione potrebbe spiegare perchè dalla metà del secolo scorso la sismicità in Calabria è fortemente calata. Per lo stesso motivo, è calata anche l’attività sismica nella zona delle Ellenidi settentrionali (dalla faglia di Cefalonia all’Albania), che è strettamente collegata con la sismicità della Calabria. Siccome, invece, l’ispessimento della zona adriatica meridionale non crea ostacoli al movimento verso nord del blocco ibleo, si potrebbe supporre che la situazione attuale possa favorire uno spostamento relativo tra il settore calabro (ora pressoché bloccato) e il blocco ibleo (più libero di muoversi), aumentando la probabilità di terremoti nelle faglie di disaccoppiamento tra i due blocchi (Vulcano, Messina, costa catanese)”.

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