Fecondazione eterologa: 2 coppie italiane su 3 vanno all’estero

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Nove anni dopo i referendum sulla fecondazione assistita, il divieto di fecondazione eterologa è stato smantellato dalla magistratura. Proprio come chiedeva il fronte referendario, battuto nel 2005 alla prova delle urne, dallo scorso 9 aprile nessuna legge dello Stato italiano può più vietare alle coppie il ricorso alla fecondazione eterologa. Ma comunque sarebbero circa 9.000 le coppie italiane, fra quelle in lista d’attesa all’estero e quelle che hanno semplicemente espresso il desiderio di tentare quella strada, pronte a intraprendere il percorso, come riportato da una recente indagine di Cecos Italia. “Secondo la rivista Human Reproduction, gli italiani che ogni anno si rivolgono all’estero per avere un figlio si aggirano intorno ai 3.500/4.500, anche se il dato pare essere sottostimato addirittura della metà. Il nostro Paese risulta quello più colpito dal turismo procreativo: i pazienti ‘transfughi’ italiani rappresentavano il 31,8% del totale” dichiara Lorenzo Puglisi, presidente di FamilyLegal, associazione che dal 2011 fotografa la situazione nella regione in materia di diritto di famiglia. La strada però rimane in salita. Se la sentenza della Consulta ha cancellato il divieto, il punto interrogativo sulle procedure resta: “A oggi, il Ministero della Salute non ha dato nessuna indicazione sull’iter e molte strutture risultano ancora impreparate a gestire l’enorme mole delle richieste. Solo in Lombardia sono 2000 le coppie che vorrebbero procreare tramite questo metodo, e che migrano verso la Spagna, dove, sebbene i costi non siano propriamente contenuti, le tempistiche sono accettabili e la prassi è definita». Un incremento del 33% nei primi sei mesi del 2014 rispetto all’anno precedente solo a Milano, segnala FamilyLegal: “Un trend dovuto in gran parte allo scetticismo degli italiani verso il modus operandi delle nostre strutture sanitarie. Sono soprattutto i nostri concittadini del sud a rivolgersi a strutture estere” specifica Puglisi. Per quelle coppie che decidono di sfidare le incertezze burocratiche e l’assenza di indicazioni chiare sulla procedura, esiste poi un ulteriore nodo da sciogliere: meglio rivolgersi a strutture pubbliche o a quelle private?

L’attuale fotografia della situazione sottolinea un importante aumento delle coppie trattate così come un grande divario fra nord e sud: nel 65% dei casi circa le tecniche di fecondazione assistita vengono effettuate in centri pubblici o privati convenzionati. Tuttavia, la situazione non è eterogenea su tutto il territorio nazionale. Le cose vanno bene al nord, molto meno bene al sud: se in Toscana e Lombardia il 95% dei cicli è a carico del Servizio sanitario, nel Lazio, in Sicilia, in Puglia e in Calabria, i trattamenti eseguiti nel privato sfiorano punte anche dell’80-90%. Per quelle coppie che invece decidono di rivolgersi oltreconfine, la Spagna resta la meta preferita, anche perché la legislazione locale consente la fecondazione assistita per le donne single, l’ovodonazione, l’embrio-donazione, nonché l’anonimato dei donatori. In seconda posizione si colloca la Svizzera. La Repubblica Ceca è il terzo paese più frequentato dalle coppie italiane. Considerando che, complessivamente, le coppie protagoniste del cosiddetto “turismo procreativo” sono almeno 4000, sono due su tre quelle che per tentare la fecondazione eterologa si rivolgono dunque a centri di procreazione stranieri. I costi dipendono dalle attrezzature e dall’assistenza offerte dai centri, ma anche dalla speculazione, e variano dai 2.500-3.000 euro dell’Ucraina ai 7.000- 8.000 della Spagna. “Sorvolando su un’anomalia tutta italiana per la quale è la magistratura, attraverso la Corte Costituzionale, a dettare scelte normative su temi così delicati, non si può negare che il nostro Parlamento sia il primo responsabile per la lacuna legislativa che si è venuta a creare. E’ arrivato il momento che il premier Renzi prenda posizione sui temi di bioetica intervenendo a sostegno di tutte quelle strutture pubbliche che ancora oggi risultano impreparate a gestire il futuro della fecondazione assistita” conclude Puglisi.

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