Prospettive “decisive” per la cura delle leucemie sono state aperte da un progetto di ricerca clinica legato all’impiego di “un farmaco intelligente” nel trattamento specifico della leucemia a cellule capellute, una forma particolare cronica che e’ cosi’ definita per la presenza di caratteristici prolungamenti sulla superficie delle cellule tumorali. Lo studio, presentato stamani nella sala dei Notari di Perugia, e’ stato ideato e coordinato dal professor Brunangelo Falini, direttore della struttura complessa di ematologia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Dopo avere scoperto nel 2011 che la leucemia a cellule capellute e’ causata dalla mutazione di un gene chiamato Braf (lo stesso che e’ mutato nel melanoma), un gruppo di ricercatori coordinati dal professor Falini ha quindi messo a segno un altro importante risultato. Riuscendo “a dimostrare l’efficacia del Vemurafenib, un inibitore specifico del gene Braf mutato, nella terapia di pazienti – ha spiegato Falini – con leucemia a cellule capellute che non rispondono a terapie classiche”. Lo studio e’ stato condotto su 28 pazienti con leucemia a cellule capellute che non rispondevano piu’ a chemioterapia convenzionale. Piu’ del 90 per cento dei pazienti – e’ stato spiegato – ha dimostrato una risposta clinica significativa al Vemurafenib e in piu’ di un terzo di essi (35 per cento) si e’ ottenuta una remissione completa. Per Falini e’ “un risultato eccezionale, specialmente se si considera che la maggior parte dei pazienti avevano in precedenza ricevuto varie linee di terapia senza risultato”. “Stiamo ora valutando la durata di questa remissione – ha sottolineato ancora Falini -, ma al momento abbiamo registrato che a 18 mesi i pazienti non hanno ancora bisogno di un ulteriore trattamento”. Quindi, secondo il professore che ha guidato la ricerca, “e’ pertanto verosimile che il Vemurafenib, ed altri inibitori di Braf mutato, possano rappresentare a breve una nuova opzione terapeutica per questo tipo di pazienti”. Altri vantaggi del farmaco – e’ stato detto – sono “l’assenza di tossicita’ midollare e la possibilita’ di essere assunto per bocca sotto forma di pillole, con una risposta al trattamento che inoltre e’ abbastanza rapida e si osserva nel giro di 2-4 mesi”. L’Azienda ospedaliera di Perugia, che entro un anno inaugurera’ anche il centro di ricerca oncologica, “si e’ impegnata in prima linea per sostenere questo progetto che rappresenta un altro successo dell’oncologia molecolare”, ha ricordato il direttore generale Walter Orlandi. Che ha poi evidenziato “i 25 milioni di euro l’anno che vengono impegnati in questo istituto e le 68 unita’ di personale che ci lavorano quotidianamente”. Complimenti a Falini e alla sua equipe sono arrivati anche dal rettore dell’Universita’ di Perugia, Franco Moriconi. “Un Ateneo serio – ha detto – deve tenere ben presente questi valori e queste qualita’, ben rappresentate dal centro di eccellenza diretto dal professor Falini”. Questa nuova speranza per i pazienti affetti da leucemia a cellule capellute resistenti alle terapie convenzionali e’ stata illustrata al 19/mo Congresso della Societa’ europea di ematologia (Eha) che si e’ svolto nei giorni scorsi a Milano e a cui hanno partecipato piu’ di 10.000 ematologi e ricercatori provenienti da ogni parte del mondo, con lo studio perugino che e’ stato selezionato tra i migliori sei lavori. I dati sono stati presentati all’Eha dal dottor Enrico Tiacci, uno dei giovani ricercatori che opera a stretto contatto con Falini. Come obiettivo per il futuro immediato, “ci proponiamo – ha commentato Falini – l’impiego del Vemurafenib in combinazione con l’immunoterapia, al fine di aumentare ulteriormente la percentuale di remissioni complete”. Falini, infine, ha voluto ringraziare l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), che ha finanziato il progetto, e gli altri sostenitori come il Comitato “Daniele Chinanelli”, l’Associazione umbra leucemie e linfomi (Aull) e l’associazione americana Hairy cell leukenia research foundation.