A differenza dei tradizionali temporali frontali o d’instabilità convettiva indotta da forti discontinuità termiche e igrometriche, i temporali di calore si formano frequentemente nella stagione calda, fra la primavera (a cominciare dal mese di Aprile), l’estate e la prima parte della stagione autunnale, nelle regioni dove l’innesco dei moti convettivi (correnti ascendenti) è agevolato da estese calme orizzontali delle masse d’aria e dall‘intensa e prolungata insolazione diurna. Quando un’area piuttosto umida è stata esposta al lungo ad un forte riscaldamento, indotto dalla forte insolazione, l’aria umida preesistente presso il suolo tende ad ascendere verso l’alto, formando dei Cumuli piuttosto elevati, dall’aspetto torreggiante. In pratica l’intenso riscaldamento del suolo può formare delle grosse bolle d’aria più calda, rispetto a quella circostante, che tendono a salire verso l’alto andandosi a raffreddare negli strati superiori, condensando gran parte del vapore acqueo in esse contenuto. Si vengono cosi a creare le cosiddette “termiche“, intense correnti ascensionali che si espandono verso gli strati più alti della troposfera, anche sopra i 10-12 km alle nostre latitudini (a quote più alte sui tropici e all’equatore). Durante la giornata, il movimento ascendente delle masse d’aria, legato alle “termiche“, e l’instabilità atmosferica aumentano in modo sensibile. Tale situazione favorisce l’addensamento di masse cumuliformi, le parti superiori si innalzano sempre più, mentre le basi si anneriscono.
In questa fase la nube comincia ad assumere la forma di un grosso Congesto che si evolve successivamente in Cumulonembo, con la classica incudine lungo la sommità dell’imponente nube verticale. Dalla parte superiore sfuggono dei filamenti fibrosi che vengono chiamati “falsi cirri”. Qualche volta, in presenza di Cumulonembi molto intensi, i “falsi cirri” possono formare un velo di cirrostrati attorno l’incudine del Cumulonembo. Si viene ad originare il Cumulonembo, una imponente nube a sviluppo verticale che assume la forma di una vera e propria “torre di vapore acqueo”, la cui sommita può raggiungere i 10-12 km di altezza, vicino al confine con la stratosfera (in questo caso si verificavo fenomeni davvero intensi con grandinate e colpi di vento). Proprio in questo momento ha inizio il temporale, il quale avanza lungo la direzione media dei venti prevalenti nella media atmosfera, attorno i 5000-6000 metri di quota. Dopo circa 30-60 minuti, ma alle volte possono trascorrere anche un paio di ore, la nube diminuisce progressivamente di volume e le precipitazioni cessano assieme all’attività elettrica.
Quando la corrente ascendente che ha formato il Cumulonembo si arresta, per la compensazione dello squilibrio termico che ha alimentato i moti ascensionali (tale compensazione può essere determinate dalle stesse precipitazioni), la parte superiore di quest’ultimo si sfalda in più pezzi formando dei banchi di altocumuli e nubi cirriformi in quota che vengono disperse dai venti regnanti nella media e alta troposfera. Nella nube, all’inizio del temporale, si contrappongono ben due correnti adiacenti, una ascendente e l’altra discendente, denominate rispettivamente “updraft” e “downburst”. Al suolo, attorno alla zona dove si concentrano le precipitazioni, regnano correnti aeree divergenti, che con l’andar del tempo, nella fase finale, estinguono ad ogni livello i moti ascendenti e così si stabilisce un generale moto discendente che dai medi livelli si butta verso la base, perdurando fino al cessare della precipitazione.
Dal punto di vista barometrico il passaggio di un temporale di calore è rappresentato da una sorta di punta, più o meno regolare, che si presenta nella curva barometrica. Tale punta è detta “naso del temporale” coincide con lo sfondamento dell’aria fredda discendente, tanto che il termometro può registrare un calo termico dell’ordine dei -5°C -6°C. Dopo il passaggio del temporale la pressione riprende il suo valore normale, mentre la temperature riprende a salire. I temporali “termoconvettivi” (o di calore) sono molto più frequenti nelle regioni equatoriali e tropicali, dove caratterizzano l’intera stagione delle piogge, diminuendo in genere con la latitudine. Nelle regioni continentali la massima frequenza dei temporali di calore si verifica nelle prime ore del pomeriggio, mentre sui mari e lungo le coste il momento migliore è la notte e la prima mattinata. Il periodo annuo mostra un massimo proprio nei mesi più caldi. Nelle regioni tropicali i temporali di calore sono molto più frequenti che alle nostre latitudini, specie durante la stagione delle piogge, rappresentando l’essenza di questa. Le piogge “zenitali” della fascia tropicale sono in larga parte attribuite a fenomeni di “termoconvenzione” che esplodono al termine del periodo più caldo dell’anno. I temporali di calore di solito sono per lo più semi/stazionari, con velocità di propagazione molto basse, a differenza dei temporali frontali che possono muoversi a velocità considerevoli, anche di 30-40 km/h.