Una nuova arma per affrontare il tumore del polmone, uno dei più frequenti e aggressivi. Un’analisi, che ha combinato i dati di due studi di Fase III (LUX-Lung 3 e LUX-Lung 6), dimostra che il trattamento con afatinib in prima linea riduce il rischio di mortalità del 19% in pazienti colpiti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), con mutazioni comuni di EGFR (recettore del fattore di crescita epidermico). I dati sono presentati al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) a Chicago. Nel 2013 nel nostro Paese si sono registrate 38.000 nuove diagnosi, di cui circa il 30% nelle donne, e il fumo resta il principale fattore di rischio per questa neoplasia. “Si tratta di uno studio rivoluzionario – sottolinea il prof. Lucio Crinò dell’Oncologia dell’Ospedale di Perugia – che conferma i progressi nel trattamento di questa neoplasia. Solo fino a 15 anni fa avevamo a disposizione pochissime armi, mentre oggi siamo in grado di offrire opzioni terapeutiche sempre più importanti e innovative. Afatinib, in particolare, come evidenziano i dati presentati al congresso ASCO, conferma di essere una molecola fondamentale, che può garantire una svolta reale nel trattamento di questo tumore. Ci auguriamo che, quanto prima, possa essere messa a disposizione dei pazienti del nostro Paese”. I risultati dell’analisi combinata dei dati di due dei più ampi studi condotti su questa popolazione di pazienti indicano che afatinib, sviluppato da Boehringer Ingelheim, ha prolungato di 3 mesi (valore mediano) la sopravvivenza globale delle persone con carcinoma polmonare con mutazioni comuni di EGFR rispetto alla chemioterapia standard (sopravvivenza globale mediana rispettivamente di 27,3 mesi vs 24,3 mesi), riducendo in modo significativo il rischio di mortalità del 19%. Una diminuzione più marcata del rischio di mortalità, pari al 41%, è stata rilevata nei pazienti con la mutazione più comune di EGFR (delezione dell’esone 19). I dati di questa analisi hanno evidenziato con afatinib un prolungamento della sopravvivenza dei pazienti con tumore polmonare con la mutazione più comune dell’EGFR (del 19) in confronto a chemioterapia standard, con una mediana di più di 12 mesi in entrambi gli studi (LUX-Lung 3: 33.3 mesi verso 21.1 mesi. Lux-Lung 6: 31.4 mesi verso 18.4 mesi). Le conclusioni di questa analisi confermano ulteriormente i risultati resi noti in precedenza, sul ritardo della progressione del tumore (sopravvivenza libera da progressione), sul miglior controllo dei sintomi del carcinoma polmonare e sugli eventi avversi associati ad afatinib rispetto alla chemioterapia standard. Commentando i risultati di sopravvivenza globale, il principal investigator Professor James Chih-Hsin Yang, M.D., Ph.D., della Clinica Universitaria Nazionale di Taiwan, ha dichiarato che “i risultati dei due studi su afatinib mostrano singolarmente per la prima volta che, nonostante il cross-over nelle terapie successive, l’uso di un farmaco target come terapia di prima linea può aumentare la sopravvivenza globale, rispetto alla chemioterapia, nei pazienti con tumore polmonare con delezione dell’esone 19 di EGFR. Questi risultati si aggiungono all’elenco di benefici già dimostrati in questi studi, tra cui maggior riduzione della massa tumorale, controllo prolungato della malattia e dei sintomi invalidanti ad essa associati quali tosse, dolore e dispnea”.
Un altro studio di Fase III in pazienti con carcinoma polmonare (LUX-Lung 5), i cui risultati sono stati presentati ad ASCO 2014, ha raggiunto l’endpoint primario, dimostrando il vantaggio di proseguire il trattamento con afatinib, associandolo a chemioterapia, a seguito della progressione del tumore con afatinib in monoterapia (Trattamento beyond progression). Questo studio di Fase III ha messo a confronto afatinib in associazione al chemioterapico paclitaxel rispetto alla sola chemioterapia, a scelta dello sperimentatore, in pazienti con tumore polmonare in stadio avanzato, dopo il fallimento di diverse linee di terapia, tra cui chemioterapia, erlotinib o gefitinib e afatinib in monoterapia. I pazienti che hanno continuato ad assumere afatinib in associazione alla chemioterapia, a seguito di un precedente trattamento con afatinib in monoterapia, hanno beneficiato di un ulteriore rallentamento della progressione del tumore rispetto ai pazienti che hanno interrotto afatinib, passando alla sola chemioterapia (con mediana di sopravvivenza libera da progressione rispettivamente di 5,6 mesi vs 2,8 mesi). Ciò corrisponde ad una riduzione del 40% del rischio di avanzamento della malattia. Gli eventi avversi più comuni nei pazienti trattati con afatinib in associazione alla chemioterapia, sono stati diarrea (spesso associata all’inibizione di EGFR), perdita dei capelli (alopecia) e debolezza (astenia – spesso associati alla chemioterapia). Il Professor Martin Schuler, M.D. del Centro Tumori della Germania Occidentale, Clinica Universitaria di Essen, Germania, principal investigator dello studio ha così commentato: “questi risultati mostrano il potenziale di un nuovo approccio in questi pazienti con una malattia difficile da trattare, ovvero la continuazione dell’assunzione di afatinib in associazione alla chemioterapia, anche quando la terapia precedente con inibitore di tirosinchinasi di EGFR fallisce e il tumore va incontro a progressione”. Il Professor Klaus Dugi, Chief Medical Officer di Boehringer Ingelheim, ha così commentato: “il tumore polmonare è una patologia complessa e siamo orgogliosi di condurre ricerche su afatinib in diverse indicazioni, in modo da poter ampliare le opzioni terapeutiche per i pazienti. I risultati di sopravvivenza globale nei singoli studi e nell’analisi combinata di LUX-Lung 3 e LUX-Lung 6, insieme ai risultati già riferiti sui benefici in termini di qualità della vita e di patient reported outcome, contribuiscono in modo significativo alle robuste evidenze a favore dell’uso di afatinib, come terapia di prima linea nel tumore polmonare con mutazioni di EGFR”.