Il Golfo di Taranto, come si vede dalle immagini, è un bacino marino chiuso su tre lati per una profondità di circa 120 km per cui eventuali idrocarburi dispersi in mare sarebbero irrimediabilmente sospinti verso le coste pugliesi, lucane e calabresi in relazione ai venti. Il Golfo, inoltre, può essere interessato da tsunami provenienti dalle faglie attive presenti nella zona delle isole ionie greche. L’incidente accaduto qualche mese fa in Adriatico (Rospo) ha evidenziato la gravità del pericolo di inquinamento specialmente in un golfo chiuso come quello di Taranto e la poca responsabilità istituzionale delle persone addette alla realizzazione di attività petrolifere in ambienti di pregio ed estremamente vulnerabili all’inquinamento. Se dovesse accadere un incidente petrolifero lungo le coste italiane, quali garanzie di sicurezza si avrebbero per la salute dei cittadini e l’economia basata sulla risorsa mare costiero? E chi pagherebbe i danni? Con quale certezza?. E come, quanto e quando pagherebbero gli eventuali inquinatori? I rappresentanti delle istituzioni eletti dai cittadini devono ergersi a trasparenti difensori del territorio, delle sue risorse autoctone di superficie e della salute dei cittadini e procedere ad una revisione delle attuali leggi che regolamentano le attività petrolifere sul territorio italiano emerso e sommerso prima che si verifichino incidenti. Il Golfo di Taranto: economie incompatibili! Ambiente e turismo, ora! Economie obsolete da rottamare! In futuro: idrocarburi? Infatti nel decreto del ministro Guidi si afferma come preminente “la valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi, in attuazione degli obiettivi programmatici individuati nel documento di Strategia Energetica Nazionale (SEN). Ma parliamoci chiaramente, dopo il recente voto spensieratamente elargito dalla maggioranza dei cittadini italiani a coloro che sostengono il governo del ministro Guidi, che speranza hanno i cittadini pugliesi, lucani e calabri di vedere validamente difesa la loro principale risorsa ambientale autoctona rappresentata dal mare costiero e dall’economia ad esso connessa? Riprendo queste notizie da Ola (Organizzazione lucana ambientalista) che rende noto che sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) di giugno 2014 sono stati pubblicati il Decreto ministeriale 9 giugno 2014 relativo al permesso di ricerca “D.R. 74.-AP” della società Apennine Energy spa ed una nuova istanza di permesso di prospezione – la “d 3 F.P.-SC” – presentata dalla Società Schlumberger Italiana spa. Il decreto del ministro Guidi autorizza nuovamente l’Apennine Energy, già titolare dell’ istanza “d.150 D.R-.CS”, nonostante i pareri contrari e le opposizioni dei Comuni calabresi sui quali insiste l’area costiera a vocazione turistica, agricola ed ambientale con ecosistemi marini unici e di grande rilievo. L’area del permesso, estesa in un raggio di 63,13 Kmq, è immediatamente a ridosso della costa dei comuni di Trebisacce, Cassano allo Ionio, Rossano, Amendolara, Corigliano Calabro, Calopezzati, Villapiana, Albidona e Brosia Le deliberazioni di opposizione dei comuni dello Jonio – denuncia la Ola – sono state considerate “carta straccia”, così come le vocazioni dei territori e del mare Jonio, allorquando nel decreto del ministro Guidi si afferma come preminente “la valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi, in attuazione degli obiettivi programmatici individuati nel documento di Strategia Energetica Nazionale(SEN), approvato con Decreto Interministeriale dell’8 marzo 2013, che prevede, tra l’altro, lo sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale”. Frasi che pesano come un macigno sulle volontà contrarie di popolazioni, amministrazioni comunali e categorie produttive che si oppongono in modo forte alla volontà governativa di sfruttamento petrolifero. Quasi una anticipazione della revisione del Titolo V della Costituzione in materia di abolizione di autorizzazioni e pareri degli enti locali e regionali. Il decreto Ministeriale – si legge – autorizza ad eseguire un programma lavori che nella prima fase prevede l’acquisizione di linee sismiche (entro 12 mesi dal conferimento del permesso) con rielaborazione dei dati sismici (circa 400 Km di linee). Nella seconda fase è prevista la perforazione di “un primo pozzo esplorativo entro 3 anni dal conferimento del permesso, previa procedura di VIA, con la perforazione di un pozzo esplorativo, con postazione a partire dalla terraferma, della profondità massima prevista di 1.500 m fino ai livelli sabbiosi del Pleistocene e Miocene”.