La manipolazione del fisioterapista può ridurre fino al 70% i sintomi e il dolore in caso di cefalea, il problema neurologico maggiormente prevalente in Europa con il 47% di popolazione adulta colpita, e che non risparmia nemmeno i bambini (colpiti per il 20%). La riduzione riguarda anche, come conseguenza, la somministrazione delle cure (-50%) e la possibile disabilità con relativi costi sociali. Lo dimostra uno studio multicentrico su oltre 100 pazienti, in fase di pubblicazione, presentato in anteprima in occasione del Congresso nazionale dei Fisioterapisti Aifi-Sifir, in corso a Lecce fino al 12 ottobre. Lo studio è stato coordinato dal James Dunning, fisioterapista americano docente all’Università dell’Alabama, in collaborazione col collega italiano Firas Mourad, specializzato in terapia manuale, dottorando all’Università di Madrid ‘Rey Juan Carlos’. “La fisioterapia rende possibile un importante riduzione del dolore e di tutte le sue possibili conseguenze – spiega Dunning – come ad esempio la conseguente disabilità, la frequenza, l’intensità e la durata dell’attacco cefalgico. Questa diminuzione dei sintomi comporta implicazioni importanti soprattutto nella riduzione dell’assunzione di farmaci antidolorifici, intorno al 50%. Un risultato molto importante non solo per i risparmi per i sistema sanitari nazionali, ma anche per il paziente dal momento che i farmaci antinfiammatori spesso hanno conseguenze avverse”. “Abbiamo studiato su un campione di oltre 100 persone – aggiunge Mourad – come due differenti tecniche fisioterapiche possano ridurre sono solo lìintensità del dolore, ma anche a dimezzare le frequenze delle crisi nell’arco dei tre mesi successivi al trattamento e la loro durata. Questa è un’altra dimostrazione di come una corretta fisioterapia sia utile nell’affiancare, con eccellenti risultati, le problematiche conseguenti al mal di testa da cefalea, una malattia spesso sotto diagnosticata e male trattata. La fisioterapia, inoltre, può essere fondamentale anche in altri ambiti di intervento come patologie che colpiscono molto frequentemente la popolazione, in particolare colpi di frusta, lombalgie ed artrosi cervicale”. “Alcune patologie complesse, come la cefalea e l’artrosi – precisa Davide Albertoni, presidente del Gruppo di Terapia manuale dell’Aifi – richiedono una formazione sempre più specialistica del fisioterapista, che assume una importanza fondamentale nell’incrementare l’efficacia dei trattamenti”. “Non a caso l’assenza, in Italia, di un ordine professionale che certifichi la qualità del fisioterapista – conclude il presidente Aifi, Antonio Bortone – richiede per il paziente uno sforzo in più: individuare un fisioterapista vero, laureato in fisioterapia che è una laurea abilitante, e con competenze specialistiche adeguate al suo problema”. Oltre 8 mila iscritti, per circa 300 delegati sono giunti a Lecce per il XX Congresso nazionale Aifi. Un congresso con grandi numeri, in crescita costante da 10 anni, così come in crescita è la professione in generale del fisioterapista, che è molto cambiata in questi ultimi anni. Per la prima volta, infatti, i liberi professionisti superano i ‘dipendenti’ e arrivano al 55% degli iscritti, identica percentuale che raggiungono le donne rispetto ai colleghi uomini. Il primo dato lancia l’allarme che ormai la libera professione è l’unica possibilità occupazionale per i neolaureati. Bene anche i numeri che riguardano gli studenti, grazie a politiche ad hoc messe in atto negli ultimi anni e che hanno invertito una tendenza negativa, arrivando a 500 iscritti. Uno sforzo che però deve essere accresciuto, con una specifica attività negli atenei. “Oggi – commenta Bortone – la limitazione delle risorse economiche, le richieste sempre più complesse delle persone, la rapida divulgazione delle informazioni e l’esigenza di politica sanitaria di far quadrare i conti, espongono il Servizio sanitario nazionale a livelli sempre più crescenti di vulnerabilità, mettendo a rischio un concetto di sistema e un concetto di cura”.