Il 25 ottobre 1954 l’area attorno a Salerno fu interessata da violenti nubifragi che rilasciarono circa 500 mm di pioggia in circa 24 ore (figura 1).
Figura 1: a sinistra si evidenzia l’area interessata dai nubifragi rilasciati da cumulonembi il 25 ottobre 1954. A destra è schematicamente rappresentato l’andamento delle precipitazioni piovose tra il 25 e 26 ottobre 1954 che hanno innescato decine di flussi fangoso-detritici. Come si vede si è trattato di fenomeni simili a quelli che hanno interessato il messinese l’uno ottobre 2009, le Cinque Terre e Genova tra ottobre e novembre 2011 e la Sardegna occidentale nel novembre 2013.
Il disastro è imputabile alle caratteristiche geologiche e geotecniche dei sedimenti sciolti che coprono i ripidi versanti carbonatici che hanno alimentato decine di flussi fangoso-detritici. Come evidenziato dall’Ing. Marco Apicella su Campaniameteo.it si hanno diverse stime delle precipitazioni ma tutte concordano sulla eccezionalità dell’evento piovoso: AGEROLA (FRAZ. S.LAZZARO) 65 MM; AMALFI 82,1 MM; RAVELLO 141 MM; MAIORI 141 MM; CAVA DE’ TIRRENI 348 MM; SALERNO (GENIO CIVILE) 504 MM; GAURO 274 MM; GIFFONI VALLEPIANA 247,2 MM; OLEVANO SUL TUSCIANO 176 MM; SALERNO (PASTENA) 320 MM; CAVA DE’ TIRRENI (PLUVIOMETRO INSTALLATO AL PALAZZO COPPOLA, CORSO ITALIA): 540 MM
Le precipitazioni più violente si verificarono tra le 20 del 25 e le prime ore del 26 ottobre.
Dai ripidi versanti dei bacini idrografici incombenti sulle città si innescarono decine di colate rapide di fango e detriti che si incanalarono nelle depressioni investendo le aree urbane sui fondo valle e nelle pianure costiere seminando distruzione e vittime.
In tutto si contarono (fra morti e dispersi) 318 vittime, 250 feriti, e quasi 10.000 senzatetto. A Salerno le vittime furono 107, a Vietri sul Mare le vittime furono oltre 100, a Cava de’ Tirreni 37, a Maiori 37.
L’evento del 1954 rappresenta uno dei più tragici disastri idrogeologici attribuibili a nubifragi rilasciati da cumulonembi.
Dopo il 1954 l’area urbana di Salerno non è più stata interessata da fenomeni piovosi estremi e conseguentemente da dissesti idrogeologici disastrosi per cui si è persa la memoria della potenza della natura.
L’urbanizzazione si è sviluppata disinvoltamente con normali interventi di “abusivismo ambientale” rispetto alle leggi della natura.
L’Autorità di Bacino competente ha elaborato il PAI (Piano dell’Assetto Idrogeologico) nel quale il territorio è stato classificato in base alla pericolosità e rischio da frana ed idraulico.
Apparentemente la città sembra protetta!
Studiando gli elaborati tematici del PAI sembra anche che non vi siano situazioni di pericolo e rischio particolarmente preoccupanti che interessino laparte occidentale di Salerno che fu devastata bel 1954.
Sembra solo o veramente sono stati eseguiti interventi sistematori strutturali nei bacini idrografici e nelle parti tombate degli alvei che attraversano la città tali da rendere sicura l’area urbana rispetto ad eventi estremi come quelli del 25 ottobre 1954?
Anche alla luce dei disastri idrogeologici verificatisi negli ultimi anni in varie aree urbane con caratteristiche morfologiche simili che sono state interessate dal transito di cumulonembi e dai nubifragi da essi rilasciati è utile analizzare criticamente la situazione della parte di Salerno devastata dalle colate fangoso-detritiche del 25 ottobre 1954.
Sulla città di Salerno (parte occidentale devastata dai flussi fangoso-detritici del 1954) incombono due bacini idrografici di dimensioni maggiori: quello del Torrente Fusandola di circa 200 ettari e quello del Torrente Rafastia di circa 350 ettari (figure 2 e 3).
Il Fusandola causò 51 vittime ed il Rafastia varie decine nella zona abitata di via Velia.
Figura 2: carta della pericolosità da frana del vigente PAI. Gli ovali con linea rossa individuano le aree dove si lamentarono quasi tutte le vittime (107) nella città di Salerno. Gli ovali con linea gialla individuano i tratti terminali degli alvei scoperti che verso valle diventano alvei tombati fino al mare. Queste aree sono state classificate in minima parte a pericolosità elevata nei pressi degli imbocchi degli alvei coperti e verso valle a pericolosità media perché la franosità attesa sarebbe caratterizzata da intensità media o bassa associate a magnitudo media. Ricordiamo che si tratta delle aree interessate da esondazione e rottura della copertura dell’alveo (via Velia) con conseguenti decine di vittime durante il disastro dell’ottobre 1954. Ricordiamo ancora che nessun intervento strutturale è stato effettuato nei bacini idrografici tesi ad evitare la mobilizzazione e liquefazione dei sedimenti sciolti che ricoprono abbondantemente il substrato carbonatico sui ripidi versanti; né sono state realizzate opere tese a contenere i detriti dei flussi che potrebbero innescarsi in seguito a nubifragi simili a quello del 25 ottobre 1954. Anche la carta della pericolosità idraulica non individua particolari criticità.
Dopo il disastro del 1954 l’alveo del Fusandola è stato oggetto di interventi consistenti in muri spondali e briglie; una “cascata” chiude il tratto a cielo aperto dell’alveo. Alla base della cascata inizia l’alveo coperto che scorre verso mare dove è ubicata la foce sulla ex spiaggia di Santa Teresa. Ex perchè il tratto terminale è stato recentemente deviato realizzando un nuovo canale, che si diparte dal precedente tracciato con un angolo di quasi 90°, per favorire la costruzione di una piazza e di una grossa struttura a forma di ferro di cavallo chiamata Crescent.
Sistemazioni simili sono state eseguite lungo l’alveo del Torrente Rafastia.
La vegetazione arborea ed arbustiva che ricopre i versanti dei bacini del Fusandola e del Rafastia testimonia la presenza di una diffusa copertura di sedimenti sciolti non incastrati nel substrato carbonatico che può essere mobilizzata da eventi simili a quelli del 1954. Nessun intervento di stabilizzazione e ancoraggio strutturale è stato realizzato per evitare lo scollamento e liquefazione dei sedimenti sciolti come accadde nell’ottobre del 1954.
Nessuna vasca di contenimento dei flussi fangoso-detritici è stata costruita.
Ne discende che un evento simile a quello del 25 ottobre 1954 può determinare lo scollamento e liquefazione dei sedimenti sciolti e il loro scorrimento impetuoso verso il fondo valle con conseguente incanalamento verso l’area urbana di Salerno.
La “cascata” realizzata poco prima dell’inizio dell’alveo coperto o alveo strada rappresenta sicuramente un elemento di seria pericolosità in seguito a nubifragi simili a quelli del 1954, del Messinese, di Genova e delle Cinque Terre qualora si dovessero incanalare lungo l’alveo del Fusandola veloci flussi fangoso detritici che trasformerebbero il salto (come verificatosi a monte di Scaletta Zanclea Marina, nel messinese, il primo ottobre 2009) in una rampa di lancio con conseguente rovinosa ricaduta sugli edifici sottostanti.
I detriti inglobati nei flussi rapidi come massi e tronchi di albero d’alto fusto oltre a creare momentanei intoppi al deflusso in corrispondenza di viadotti rappresenterebbero corpi in grado di lesionare e distruggere anche opere murarie come dimostrato dai vari fenomeni avvenuti recentemente.
In corrispondenza dell’alveo coperto del Fusandola si formerebbero due flussi veloci di cui uno scorrerebbe nell’alveo coperto e uno lungo le strade. Il flusso in alveo, come accaduto anche ad Atrani recentemente e a Maiori nel 1954, potrebbe anche causare la “esplosione” del condotto come avvenne il 25 ottobre 1954 lungo l’alveo coperto del Torrente Rafastia in corrispondenza di via Velia.
E’ evidente che i flussi fangoso-detritici rapidi, come accaduto nel 1954, provocherebbero danni agli edifici e ai manufatti lungo l’alveo e a valle della cascata.
Si fa presente che i versanti dell’alveo del Torrente Rafastia sono coperti da fitta vegetazione d’alto fusto e che nella parte mediana del bacino si trova una vasta area adibita ad attività estrattiva delle rocce carbonatiche dove solitamente si trovano varie migliaia di metri cubi di inerti accumulati.
Lo scenario apparentemente catastrofico tratteggiato in relazione ad eventuali nubifragi simili a quelli dell’ottobre 1954 prende spunto da quanto accaduto recentemente e nel 1954 in seguito a nubifragi di potenza simile a quella che si è verificata recentemente a Genova, Cinque Terre, Messinese, Sardegna e Gargano.
Come sopra detto, sulla parte occidentale della città di Salerno incombono il bacino idrografico del Torrente Fusandola di circa 200 ettari e del Torrente Rafastia di circa 350 ettari: Tali dimensioni sono simili a quella del Rio Fereggiano di Genova che ha causato esondazioni con vittime (6 persone) e danni ingenti durante i nubifragi del 4 novembre 2011 e del 9 ottobre 2014 (quest’ultima senza vittime). Ricordiamo che nel tratto terminale del Fusandola e del Rafastia si verificarono i principali danni e la maggior parte delle vittime.
Appare veramente strano che negli elaborati del PAI vigente non sia stato tenuto conto di questi semplici aspetti e l’area urbana all’inizio e a valle dei tratti tombati dei Torrenti Fusandola e Rafastia non sia stata classificata a rischio molto elevato (figura 2).
Quanto illustrato evidenzia che gli uomini responsabili della sicurezza ambientale e della sicurezza dei cittadini ben poco hanno imparato dagli eventi idrogeologici catastrofici verificatisi dal 1954 in poi e causati da eventi piovosi estremi rilasciati da cumulonembi.
Non si può dire che nella parte occidentale di Salerno tutto sia come il 25 ottobre 1954: la situazione si è aggravata.
Oggi si ha a disposizione il Pai che deve individuare le differenti caratteristiche idrogeologiche ed idrauliche del territorio al fine di garantirne la sicurezza. Nel 1954 non esistevano le Autorità di Bacino ed i PAI per cui il disastro colpì cittadini ed istituzioni impreparati. Il PAI attuale, come già detto, non evidenzia le gravi criticità e pericoli esistenti allo sbocco nell’area urbana dei torrenti Fusandola e Rafastia dove si verificò la catastrofe nell’ottobre 1954 pur esistendo tutte le premesse ambientali che caratterizzavano l’area sessanta anni fa.
Oggi si dispone di una vasta esperienza di catastrofi idrogeologiche causate da fenomeni rapidi innescati da nubifragi come accadde nell’ottobre del 1954. Per coloro che dovevano e devono garantire la sicurezza ambientale e dei cittadini sembra che tali esperienze non abbiano alcun significato!
Un evento piovoso estremo può colpire i cittadini all’improvviso come accaduto il 9 ottobre 2014 a Genova.
Potrebbero ripetersi i tragici avvenimenti del 1954.
E’ veramente triste e preoccupante perché è evidente che i problemi sono irresponsabilmente sottovalutati dai vari personaggi che istituzionalmente devono garantire la sicurezza ambientale e salvaguardare l’incolumità dei cittadini.
Sono anni che proponiamo ai responsabili delle istituzioni di attivare dei sistemi di allarme idrogeologico immediato che pur non evitando i danni ai manufatti potrebbero garantire la sicurezza dei cittadini.
A Salerno, come in tutte le altre città esposte al rischio delle alluvioni lampo nemmeno un sistema di allarme idrogeologico immediato con piano di protezione civile locale è stato attuato in modo da avvertire i cittadini con decine di minuti di anticipo sull’irrompere di eventuali flussi fangoso-detritici qualora dovessero scatenarsi cumulonembi con conseguenti nubifragi.
Si deve continuare a sperare che non si abbattano nuovi nubifragi, praticamente ispirandosi a “speriamo che io me la cavo”!
Sembra che l’interesse degli amministratori sia tutto riversato, sull’onda delle grandi catastrofi idrogeologiche, sulla speranza che si finanzino grandi opere che possano garantire solo lauti e disinvolti guadagni a pochi lobbysti ma certamente non la sicurezza diffusa dei cittadini.
Come si può osservare nella figura 3 basterebbero cinque pluviometri, in grado di registrare le precipitazioni piovose ogni tre minuti, collegati in rete per individuare sul nascere eventuali nubifragi rilasciati da cumulonembi ed emanare conseguentemente l’Allarme Idrogeologico Immediato con l’attivazione del piano di protezione dei cittadini, nelle aree che possono essere interessate, con un anticipo di varie decine di minuti o qualche ora sul sopraggiungere di eventuali flussi idrici o fangoso-detritici.
Figura 3: L’immagine A sintetizza schematicamente il rischio idrogeologico della parte occidentale della città di Salerno sulla quale incombono i Torrenti Fusandola e Rafastia e altri bacini minori sull’area portuale e la proposta di attivazione del Sistema di Allarme Idrogeologico Immediato per garantire, almeno, la sicurezza dei cittadini nell’eventualità di nubifragi simili a quelli dell’ottobre 1954, del Messinese, Genova (2011 e 2014), Cinque Terre e Gargano. Tale sistema è immediatamente realizzabile con un costo limitato confrontabile con quello di una autovettura berlina di marca famosa. L’immagine B è uno stralcio di foto aerea del rilievo IGM del 1955 sulla quale sono indicate con freccia gialla alcune delle decine di colate di fango innescatesi lungo i ripidi versanti. Le immagini C e D evidenziano due situazioni critiche lungo il corso del Torrente Fusandola nel tratto urbano: la cascata adiacente l’imbocco dell’alveo coperto e la deviazione, quasi ad angolo retto, dell’alveo realizzata per la costruzione di una piazza e del grande edificio chiamato Crescent.
E’ praticamente impossibile mettere in sicurezza in tempi rapidi tutte le aree urbane ed antropizzate esposte ai pericoli idrogeologici. Molti problemi sono stati creati realizzando insediamenti urbani in aree esposte ai pericoli idrogeologici con azioni di “abusivismo ambientale” autorizzato solo dall’uomo ma non dalla natura.
Anche impedendo nuovi interventi in aree pericolose non si risolverebbe il problema delle urbanizzazioni già realizzate.
Pragmaticamente siamo giunti alla conclusione che in tempi brevi e con costi contenuti si può e si deve tentare di salvare almeno le vite umane.
Si ricordi che il territorio italiano è ancora indifeso in relazione ai nubifragi che improvvisamente possono essere rilasciati da cumulonembi e che in tempi brevi e con costi contenuti si può e si deve tentare di salvare almeno le vite umane.
E’ evidente che occorre una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che può e deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale tipica dei cumulonembi che può innescare fenomeni idrogeologici devastanti.
Gli eventi piovosi estremi (nubifragi rilasciati da cumulonembi) sono fenomeni naturali e la storia del clima e dell’ambiente evidenzia che si sono sempre verificati.
I cittadini devono organizzarsi per non subire danni dagli “attacchi” con quello che abbiamo proposto: il sistema di allarme idrogeologico immediato!
Semplice, e non costa molto, immediatamente realizzabile.
Durante la seconda guerra mondiale i cittadini non potevano impedire che bombardieri nemici venissero a bombardare per cui si era attivato il sistema di allarme immediato con avvistamento, allarme e fuga nei rifugi organizzati.
Finito l’allarme tutto tornava normale.
Il sistema di allarme idrogeologico immediato si basa sul fatto che i fenomeni tipo meteoserialkiller non sono individuabili molto tempo prima, nel senso che non si può prevedere se e dove essi si innescheranno colpendo fasce di territorio molto ristrette (da 5 a circa 15 km di larghezza).
Si possono individuare le situazioni meteo favorevoli all’innesco dei cumulonembi ma la certezza che sia iniziato un nubifragio che può innescare flussi detritici e piene improvvise la si può avere solo seguendo in tempo reale la registrazione pluviometrica tramite strumenti in grado di registrare la pioggia caduta ogni 3 minuti. La curva è tipica e consente di individuare il fenomeno sul nascere dopo pochi minuti.
Prima che gli eventuali flussi idrici o colate detritiche possano sopraggiungere nelle aree urbane a valle possono trascorrere diverse decine di minuti che sono sufficienti ad attivare il piano di protezione civile già predisposto e sperimentato che consenta ai cittadini di togliersi dalle strade che possono essere percorse dai flussi.
Ad esempio, durante la tragica alluvione di Genova e delle Cinque Terre del novembre 2011 i flussi giunsero nelle strade cittadine circa 4-5 ore dopo l’inizio del nubifragio.
I flussi idrici e le colate detritiche devono percorrere obbligatoriamente i fondo valle per cui sono agevolmente individuabili le strade che possono essere invase.
Un adeguato sistema di comunicazione sonora e visiva ubicata nelle zone potenzialmente vulnerabili consente ai cittadini di mettersi al sicuro fino al cessato allarme.
Ripropongo la figura 4 che sintetizza gli aspetti fondamentali che caratterizzano un evento piovoso estremo rilasciato da cumulonembo, che può innescare flussi idrici e detritico-fangosi, il cui monitoraggio idrologico in tempo reale consente di attivare dopo pochi minuti il Sistema di Allarme Idrogeologico Immediato con il Piano di Protezione dei Cittadini.