Il fiume Po, lungo ben 652 km con un bacino di 71.000 km quadrati, nasce in Piemonte, a Crissolo, in provincia di Cuneo, ai piedi del Monviso, la vetta più alta delle Alpi Cozie, precisamente in località Pian del Re; inizia da lì il suo lungo corso fino all’ampio delta nella regione storica del Polesine, sul confine tra Veneto (provincia di Rovigo) ed Emilia Romagna (provincia di Ferrara), dividendosi in 5 rami principali e centinaia di altri corsi d’acqua minori, per poi sfociare nel Mare Adriatico, presso Porto Tolle.
Secondo recenti studi il Grande fiume deve il suo nome ad un vocabolo orientale, forse cinese, che avrebbe il significato di “palude”, anche se la sua origine si è sempre considerata derivata da “Padus”, in riferimento ai numerosi alberi di pino che costeggiano le rive del fiume (“Pades” indica la resina prodotta da alcuni esemplari di pini selvatici presenti in abbondanza proprio vicino alle sorgenti del Padus). E’ certo che da Padus deriva il termine “padano” e da quest’ultimo il nome della pianura padana che si estende ai lati del fiume Po. Conosciuto come Eridano ai tempi della Grecia antica, indicando così il fiume mitico situato grossolanamente a sud della Scandinavia, formatosi dolo l’ultima glaciazione europea, il Po, nella lingua dei liguri, è invece conosciuto come “Bodincus” (privo di fondo) e a sostegno di tale argomentazione si cita Mounteu da Po, una città presso la quale si trova il sito archeologico di Industria, dall’antico nome di Bodincomagus.
Le acque del Grande Fiume hanno alimentato tante vicende che, tramandate nel corso dei secoli, si sono a volte trasformate in miti e leggende. Tra queste, spicca il mito di Fetonte. Secondo la mitologia greca Fetonte, figlio di Apollo e della ninfa Climene, crebbe senza sapere l’identità del padre fino a che, scoperta la verità, partì alla ricerca di Apollo. Arrivato al suo palazzo, il padre fu entusiasta di conoscerlo e gli promise che avrebbe esaudito il suo desiderio più grande: quello di guidare il carro del Sole per un giorno.
Purtroppo, nonostante Apollo cercasse di dissuadere Fetonte da tale rischiosa impresa, l’esito non fu quello sperato ed il giovane, non possedendo la forza necessaria per condurre i cavalli alati del padre, perse il controllo del carro. I cavalli, infatti, imbizzarriti, corsero all’impazzata per la volta celeste, salendo prima troppo in alto e bruciando un tratto di cielo che divenne la Via Lattea; per poi scendere troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli umani chiesero aiuto a Zeus che intervenne per salvare la Terra, scagliando, adirato, un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano. Le sue sorelle, le Eliadi, spaventate, piansero a dirotto e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti.
Va poi ricordato che il territorio lombardo tra Bergamasca meridionale e nord del territorio cremonese era in passato il bacino di una vasta area acquitrinosa, conosciuta col nome di lago Gerundo. Le testimonianze più significative della sua esistenza ci sono pervenute grazie al monaco Sabbio e risalgono al 1120 d.C. Apprendiamo proprio da lui la presenza di misteriose creature che infestavano le acque del lago, i draghi, animali simili a giganteschi serpenti dall’alito pestifero; mentre gli abitanti di Lodi, dal canto loro, erano spaventati dalla presenta del soprannominato “Tarantasio”, un grosso serpente acquatico le cui ossa sono depositate presso la Chiesa di San Cristoforo.
La storia del Po è ricca di piene e alluvioni. La prima degna di nota risale al 108 a.C. ed il suo ricordo è rimesso alla descrizione di Cluverio Filippo; mentre nel 1150, si è verificata l’alluvione di Ficarolo, in seguito alla quale il fiume modificò il suo corso. Facendo un grosso passo avanti nella storia, indimenticabile la piena del 1951, che provocò 88 vittime e migliaia di persone che persero tutto. La piena culminò nell’alluvione del Polesine; la piena dei nostri nonni, il metro di paragone di tutte quelle successive. In seguito, citiamo la piena del 94’ che colpì la zona occidentale del bacino del Grande fiume: in soli 3 giorni, nell’alessandrino, nel torinese, nel cuneese e nell’artigiano cadde più pioggia di quella caduta in un arco di tempo doppio nel 1951; sino alla piena del 2000, ultima in ordine cronologico ma prima per intensità.
Il notevole innalzamento del livello del fiume, con la conseguente pressione di alcuni metri d’acqua sulle pareti dell’argine, provocano un flusso delle acque faldifere superficiali contrario a quello naturale, che riesce ad infilarsi in falde costituite da ghiaia o sabbie che affiorano sul territorio, potendo provocare un fenomeno che non va affatto sottovalutato, chiamato “fontanazzo”, pericoloso soprattutto quando si verifica in prossimità dell’argine. Il suo affioramento genera uno zampillo d’acqua torbida, più o meno imponente, che trascina con sé la sabbia della falda, depositandola sui terreni circostanti. Si tratta dell’acqua di piena che, trascinando con sé la sabbia della falda, allaga il canale sotterraneo in cui scorre, fino a far crollare l’argine sovrastante, inondando conseguentemente la pianura.
Il termine “fontanazzo” è usato in Italia settentrionale per indicare genericamente delle sorgenti o delle risorgive; mentre in idrologia indica, più esattamente, una sorgente che si forma per infiltrazione d’acqua sul lato esterno di un argine durante la piena di un fiume; in particolare nel caso in cui l’alveo del fiume si trova in posizione rilevata rispetto alla pianura alluvionale circostante. Favorendo la rapida erosione del terreno costituente l’argine stesso; i fontanazzi mettono a rischio la stabilità degli argini lungo i corsi d’acqua e sono combattuti, di solito, con la posa di sacchi di sabbia attorno al foro, formando una piccola coronella. Tra le cause più frequenti della formazione del fenomeno troviamo l’attività di scavo di alcuni animali (nutria, volpe, tasso) che costruiscono le loro tane in prossimità dei corsi d’acqua. In particolare la nutria scava profondi cunicoli all’interno dell’argine, che possono attraversarlo per tutta la sua larghezza. Se avvistate una di queste sorgenti, segnatela subito. Intanto, è d’obbligo un ringraziamento ai tantissimi volontari che stanno sorvegliando il nostro Grande fiume in queste ore e probabilmente lo faranno anche nei prossimi giorni.