“L’ipossia caratterizza diversi disturbi clinici, quali asma o lesioni cerebrali, ma anche individui sani che soggiornano ad alte quote montane”, spiega Zani. “Mentre sappiamo che l’ipossia, specie se grave, può avere effetti sulla memoria o sulla capacità di calcolo, lo studio sui sistemi di vigilanza è del tutto inedito. Per indagare l’influenza sui network cerebrali che regolano l’attenzione visuo-spaziale, un campione è stato sottoposto a due sessioni sperimentali in cui i 16 partecipanti respiravano aria impoverita di ossigeno, che simula la condizione atmosferica a circa 4.200 m di altezza. Dopo due ore ogni partecipante è stato sottoposto ad alcuni compiti: rispondere il più velocemente possibile premendo un tasto alla vista di stimoli target che comparivano in diverse zone dello spazio visivo (preceduti o meno da segnali indicatori), oppure scegliere quale tra due dita usare per la risposta a seconda dello stimolo percepito”.
“Grazie alla tecnica di risonanza magnetica tridimensionale Loreta (Low resolution electromagnetic tomography) è stato possibile inoltre evidenziare un’attivazione della corteccia cingolata anteriore mediale e del giro para-ippocampale dell’emisfero sinistro che suggeriscono uno stato di sforzo o sofferenza indotta dall’ipossia”, conclude Zani. “I dati emersi hanno importanti implicazioni per gli individui che operano in ambienti estremi, per lo studio dei processi nervosi implicati negli stati di coscienza e nei pazienti in stato di sofferenza cerebrale. Rilevanti risultano inoltre gli effetti dello stress da esposizione prolungata ad ambiente pressurizzato, qual è quello degli aerei (ipossiemia da volo) o all’aria condizionata al livello del mare (ipossia normobarica), dove manca il ricambio di aria naturale”.