Leucemia: un anticorpo azzera le tracce molecolari della malattia

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Con un braccio cattura le cellule impazzite nei malati di leucemia, con l’altro aggancia i soldati del sistema immunitario che così possono sferrare il loro attacco mortale contro il cancro. L’anticorpo bispecifico blinatumomab, il ‘Giano bifronte’ dell’immunoterapia applicata ai tumori del sangue, torna protagonista al 56esimo congresso della Società americana di ematologia (Ash) in corso a San Francisco. Nello studio di fase II ‘Blast’, condotto su 116 pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta a cellule B che conservavano segni di malattia attiva nonostante i benefici ottenuti con la terapia tradizionale, il farmaco si è dimostrato in grado di azzerare le tracce molecolari della leucemia nel 78% dei malati. E nel 98% dei casi la risposta completa è stata ottenuta dopo un solo ciclo di trattamento per infusione continua. Blinatumomab, sviluppato dalla società biotech tedesca Micromet acquisita dal gruppo statunitense Amgen nel 2012, è stato disegnato per legarsi con una ‘faccia’ a una proteina presente sulle cellule B (CD19) e con l’altra a una esposta dai linfociti T (CD3). Appartiene alla nuova famiglia dei cosiddetti Bite (bispecific T-cell engager) ed “è un’immunoterapia che accende le difese naturali dell’ospite contro il tumore”, collegando la cellula killer al suo bersaglio, spiega Robin Foà, a capo della Divisione di ematologia dell’università Sapienza di Roma, fra i centri italiani che collaborano agli studi sul bi-anticorpo. “Un farmaco molto attivo che proprio in questi giorni – sottolinea l’esperto – ha ricevuto con procedura ultra-veloce il via libera dell’agenzia del farmaco Usa Fda per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B recidivata-refrattaria. Il dosser per ottenere l’approvazione alla stessa indicazione è stato sottoposto anche all’europea Ema”. In Italia la leucemia linfoblastica acuta colpisce ogni anno circa 450 uomini e 320 donne (dati Airc). Ma soprattutto è il tumore più frequente tra i bambini che, nonstante un raddoppio dei casi a lieto fine negli ultimi decenni, una volta su 5 non reagiscono ancora con successo al trattamento. Le forme a cellule B, contro cui agisce blinatumomab, rappresentano il 70-80% dei casi di leucemia linfoblastica acuta. “Nelle forme recidivate-refrattarie – precisa Foà – il farmaco può fare da ‘ponte’ verso il trapianto di midollo, l’unica speranza di guarigione che però è impossibile effettuare in certi stadi di malattia. Mentre nei casi di malattia minima, in cui dopo una terapia tradizionale la leucemia resta presente in residui rilevabili solo con tecniche di biologia molecolare, ma destinate prima o poi a recidivare, blinatumomab può azzerare la patologia o permettere di portare il paziente al trapianto”. “Uno dei vantaggi di questo farmaco – osserva l’ematologo Foà- è quello di avere una tossicità molto limitata rispetto alla chemioterapia, e quindi di poter essere utilizzato in ogni tipo di paziente: dagli adulti ai bambini, ma anche agli anziani”. Ed è proprio su un sottogruppo di pazienti ‘over’ che i centri italiani sperimentatori di blinatumomab progettano di avviare uno studio ad hoc sotto l’egida del Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche nell’adulto): “Vorremmo utilizzare l’anticorpo bispecifico in pazienti colpiti da leucemia linfoblastica acuta a cellule B positivi al cromosoma Philadelphia (30% dei casi, con punte del 50% fra gli anziani)”. Questo tipo di pazienti, infatti, reagisce bene ai farmaci intelligenti che hanno cambiato la storia dell’ematologia moderna, ma presentano tutti tracce molecolari di malattia che possono causare a ricadute. “Per gli anziani – conclude Foà – blinatumomab potrebbe rappresentare una terapia ‘chemio-free’. Efficace e tollerata”.

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