Basterebbe poco per assicurare loro un futuro di maternità oltre la malattia. “Innanzitutto vanno modificate le due Note dell’Agenzia Italiana del Farmaco – continua Elisabetta Iannelli – riconoscendo l’indicazione ‘prevenzione dell’infertilità nelle pazienti oncologiche’ alle gonadotropine necessarie alla stimolazione e raccolta di ovociti (Nota 74) e agli analoghi LHRH che proteggono la funzione ovarica durante la chemioterapia (Nota 51). Sono trattamenti costosi per cui il medico è costretto, sotto sua responsabilità, a prescriverli attraverso un’interpretazione estensiva delle indicazioni, per evitare che siano pagati dalle pazienti. Una riscrittura delle due Note AIFA consentirebbe a queste pratiche terapeutiche diffuse ed efficaci di uscire dalla semi-clandestinità in cui sono mantenute”. “È necessario implementare percorsi dedicati per la prevenzione della infertilità nelle pazienti oncologiche in tutte le Regioni italiane con prestazioni riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale e attraverso strutture multidisciplinari (istituti oncologici, università, ospedali, strutture territoriali e centri di Procreazione Medicalmente Assistita), che diano vita ad una rete di centri di Oncofertilità in grado di rispondere tempestivamente (entro 24 ore) alle esigenze delle pazienti – sostiene il dott. Cristofaro De Stefano, direttore dell’Unità di Fisiopatologia della riproduzione e sterilità di coppia dell’Ospedale ‘San Giuseppe Moscati’ di Avellino -. Ridare ai malati la speranza di poter riprogettare l’esistenza ‘dopo il cancro’ è motivo di vita e recupero di energie anche ‘durante il cancro’.” Diversamente da quanto accade nell’uomo, nella donna l’utilizzo di alcune tecniche di crioconservazione è associato a un ritardo nell’inizio dei trattamenti antitumorali: da qui l’importanza di avviare le pazienti il più precocemente possibile agli esperti in questo campo. “La creazione di un network – continua Lucia Del Mastro – consentirebbe di definire percorsi dedicati e riconosciuti, oggi esistenti solo in alcune aziende ospedaliere, e di risolvere un altro importante problema, rappresentato dalla difficoltà delle giovani pazienti oncologiche ad accedere al counselling riproduttivo e ad eventuali successive tecniche di crioconservazione. Ad esempio, all’Ospedale San Martino di Genova è attivo un rapporto di collaborazione tra la struttura di oncologia e quella di medicina della riproduzione, per fornire alle giovani pazienti un percorso privilegiato di accesso al counselling riproduttivo e ridurre il più possibile il ritardo nell’inizio dei trattamenti antitumorali. Le donne, durante la prima visita oncologica, vengono informate dagli oncologi medici sui possibili rischi legati alle terapie anticancro, tra cui il rischio di tossicità gonadica e di infertilità, e vengono loro proposte le strategie disponibili per ridurre questa eventualità”.
“È il metodo che va cambiato – conclude il dott. Peccatori -. Istituzioni, medici e pazienti devono sedersi a un tavolo comune per definire le priorità sanitarie, valutandone evidenze scientifiche e sostenibilità. Nel caso in questione è in gioco un diritto sancito dalla costituzione, quello alla genitorialità. La richiesta delle giovani pazienti è chiara: lasciateci una speranza di maternità oltre il cancro, così come definito dalle più recenti ricerche scientifiche. La risposta delle Istituzioni dovrebbe essere altrettanto rapida e consequenziale. Il problema esiste, e la soluzione non può essere lasciata solo alla buona volontà dei singoli. Se vogliamo dare significato alla centralità della paziente nel percorso di cura, non possiamo dimenticare l’importanza della prevenzione della infertilità dovuta ai trattamenti oncologici”.
Tumori: 1.500 donne vogliono diventare madri, “ma la tutela della fertilità è un diritto negato”
MeteoWeb