Tumori, diventare genitori con la leucemia: un tempo impensabile, oggi è realtà

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Diventare genitori con la leucemia: un tempo era impensabile, oggi è realtà grazie ai progressi della medicina che hanno trasformato un tumore mortale fino agli anni ’90 in una malattia curabile nel 95% dei casi. La gioia di un figlio non è più un tabù per chi soffre di leucemia mieloide cronica, cancro del sangue che nel nostro Paese colpisce ogni anno circa 650 uomini e 500 donne (dati Airc). Lo dimostrano i dati preliminari di uno studio italiano presentato al 56esimo congresso della Società americana di ematologia (Ash), in corso a San Francisco. La ricerca, promossa dal Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche nell’adulto), è parte di un progetto sostenuto da un’iniziativa solidale di Cruciani C che ha disegnato per Ail (Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma) i braccialetti natalizi in pizzo macramè e fili di lurex ‘La buona stella della ricerca’, ispirati alla Stella di Natale simbolo della tradizionale raccolta fondi targata Ail. Lo studio – il primo in Ue a valutare concepimento e gravidanza in coppie con uno dei 2 partner malato di leucemia mieloide cronica – ha coinvolto 63 persone, 43 uomini e 20 donne, per un totale di 71 gravidanze in cui la madre (tra i 22 e i 37 anni al concepimento) soffriva della malattia o era compagna di un uomo con la patologia. Ai pazienti la malattia era stata diagnosticata in un’età compresa fra 17 e 55 anni; al momento del concepimento tutti tranne uno erano in fase cronica, e nella maggior parte dei casi in trattamento con un farmaco intelligente. La maggioranza delle gravidanze è stata spontanea, 3 frutto di fecondazione assistita. Quando è stata condotta l’analisi 2 gravidanze erano ancora in corso e 6 erano terminate con un aborto entro il terzo mese, spontaneo in 2 casi. Tutte le gravidanze proseguite hanno avuto un decorso normale, a parte 2 distacchi di placenta, un rischio di aborto, un caso di diabete gestazionale con ritardo della crescita intrauterina, un caso di scarsa presenza di liquido amniotico, una displasia congenita dell’anca e un ritardo di parola in una bimba di 36 mesi. Gli autori definiscono questi primi risultati incoraggianti, anche se da approfondire con ulteriori analisi e allargando l’indagine ad altri centri italiani.

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