La conseguenza della diffusione degli «emoticon», che non sono altro che disegni digitali dall’aspetto cartoonizzato che riproducono uno stato d’essere ben preciso, ha compresso in modo esorbitante il numero di parole utilizzate per comporre le più banali frasi quotidiane. Ancora una volta ciò dimostra come la tecnologia influenza il lifestyle, la comunicazione ed adesso anche la scrittura. Tutto partì dai famosi sms, di cui si è avuto un uso, anzi abuso, di questa modalità di comunicazione, che ha surclassato nel giro di pochi anni la tradizionale telefonata. Iniziarono a prendere piede le abbreviazioni per comprimere il lasso temporale entro il quale formulare il periodo, fra le più gettonate e fortemente criticate dai puristi della lingua italiana, sono stati le «k», «xchè» e «tvb», ma anche «cmq» fino addirittura ad arrivare a «qst», che sta per questa/questo, che per chi ha un’età più matura risultano di difficile comprensione.
Con il diffondersi della febbre da smartphones, le applicazioni di messaggistica istantanea sono proliferate e i modi di comunicare si sono diversificati. Non più solo lettere e parole ma perché non disegni? Sono state create faccine di ogni genere, capaci di riprodurre l’espressione umana generata da una specifica emozione. L’origine degli emoticons va ricercata negli «emoji», inventati nel 1995 dal giapponese Shigetaka Kurita, che prese l’ispirazione dai famossimi manga.
L’emoticon che nel 2014 è stato maggiormente utilizzato nel mondo è stato l’ideogramma del cuore, secondo la ricerca del «Global Monitor Language», fondazione americana che analizza le tendenze del linguaggio nel mondo. Si sono scambiati più di 340 milioni di cuoricini, al secondo posto della classifica troviamo le espressioni di gioia ed amore, a seguire quelle di noia. Fra i primi dieci posti anche la mano che interpreta un «ok». Questo fenomeno è interpretabile come una viva minaccia per la comunicazione letterale e dunque della grammatica? Come qualunque moda sociale che si rispetti, le opinioni ed i punti di vista si sviluppano su due filoni contrastanti. Secondo molti esperti, la comunicazione visiva del XXI secolo non impoverisce né condanna la comunicazione verbale, bensì la può solo arricchire. Il cervello umano «legge» le emoticon proprio come le espressioni facciali, spesso dunque preferite rispetto alla semplice e diretta parola, perché permettono al destinatario di comprendere la chiave di lettura emozionale con cui deve interpretare la frase che sta leggendo. Aiutano a evidenziare il tono un’affermazione sono dunque rafforzativi del messaggio. Dunque se le parole storpiate, tipiche dei predecessori delle chat, gli sms, erano condannabili su tutti i fronti il fenomeno emoticon non è del tutto criticabile. Resta sicuramente una parentesi aperta, se la scrittura non è dunque in pericolo di fronte agli emoticons, lo è invece la comunicazione verbale? Si tenderà sempre più ad esprimere un sentimento nascondendosi dietro la faccina digitale anzicchè affrontare i sentimenti con la parola ed il contatto fisico? Lo potremo sapere solo nei prossimi anni, ammesso che i passi avanti della tecnologia non continueranno a stupirci con nuove forme di comunicazione virtuale.