Più piccolo della cipolla, più grande dell’aglio, lo scalogno è una via di mezzo tra i due odorosi bulbi anche per via del suo sapore: somiglia più alla cipolla ma,rispetto ad essa, è molto meno profumato (il che significa che non mette a repentaglio l’annusabilità delle mani dopo averlo tagliato e, durante l’operazione, non nuoce nemmeno alle ghiandole lacrimali, dato che non fa piangere). Originario dell’Asia centrale, lo scalogno deve il suo nome alla cittadina palestinese di Ascalon (Ashkelon), dal cui porto salparono le navi che portarono a casa i Crociati assieme a questo particolare “souvenir” culinario.
La pianta, da lì, si diffuse verso l’Italia e il Mediterraneo orientale. Appartenente alla famiglia delle Alliaceae, del genere Allium, nonostante le sue ridotte dimensioni, lo scalogno è un concentrato di virtù benefiche: è ricco di acqua e fibre che facilitano il transito intestinale, riducendo l’assorbimento dei grassi; contiene molti oligonutrienti essenziali al benessere dell’organismo (sodio, potassio, calcio, fosforo, selenio, silicio). Il selenio, in particolare, legandosi allo zolfo, è utile per l’accrescimento e come antiossidante, contrastando l’invecchiamento cellulare, mentre il silicio, in relazione al calcio, è efficace contro l’osteoporosi, rafforzando unghie e capelli.
Lo scalogno, inoltre, contiene vitamina A, vitamine del gruppo B e C. Quest’ultima si disperde molto con la cottura per cui è preferibile consumarlo crudo, in un’insalata di verdure, magari arricchendolo con abbondante prezzemolo tritato. Contiene fenoli e flavonoidi, in particolare, le antocianine, sostanze che conferiscono al bulbo, per difesa dai raggi solari, il colore violaceo; utili contro i capillari, proteggendo la circolazione in genere; e la quercetina, che agisce sul sistema cardiovascolare, abbassa il colesterolo cattivo nel sangue, regolando la pressione diastolica, la minima. E ancora, i suoi oli aiutano l’attività dello stomaco e quella intestinale, stimolando le secrezioni delle ghiandole bronchiali; lo iodio è necessario al funzionamento della tiroide, l’enzima allinasi conferisce aromi e odori e il solfuro di allile, ha effetti diuretici, disinfettanti, anti-mutageni (proteggendo dai tumori) e anti-diabetici, proprietà antivermifughe, antibatteriche e antiradicaliche. I bulbi dello scalogno, che vanta 72 kcal ogni 100 gr. di parte edibile, vanno interrati fra gennaio e marzo, mentre la raccolta avviene in estate, in due momenti: a giugno, per il prodotto fresco e a luglio per quello destinato alla conservazione. I contadini però sanno bene che meglio non piantarli per due anni consecutivi nello stesso posto in quanto impoveriscono il terreno. Meglio quindi, applicare l’antica regola della rotazione agraria quinquennale!
Ma come si cucina e conserva? Lo scalogno non deve perdere il colore, non va rosolato, né soffritto per non perdere il suo sapore, diventando amaro. Va fatto disfare a fuoco lento. E’ indicato per antipasti e portate raffinate, in insalate, frittate, risotti e torte salate, per salse come la Bernese. In Francia, ad esempio, viene pestato nel mortaio e mescolato con burro e formaggi cremosi per accompagnare grigliate di carne e pesce e, sempre in Oltralpe, viene conservato nel vino o nell’aceto di vino per un insolito antipasto. Lo scalogno è un ingrediente fondamentale nella cucina iraniana e insaporisce il riso fritto, gli involtini nepalesi e moti piatti dell’India meridionale. Una curiosità: nella cultura contadina di mezza Italia, lo scalogno era considerato dotato di proprietà afrodisiache. Molte leggende, rifacendosi alla tradizione pagana romana, attribuivano ad esso effetti eccitanti, descritti anche in un libro del medico romano Castore Durante, pubblicato nel 1586, in pieno Rinascimento italiano. Nel continente americano pare che lo scalogo sia stato portato da Hernando de Soto, nel corso della sua esplorazione della Lousiana.