Questo minerale è presente ancora in grandi quantità e in varie forme in stabilimenti ed edifici, pubblici e privati, in tutte le nostre Regioni
In Italia devono ancora essere bonificati 35.521 siti (1.957 i siti bonificati e 571 quelli parzialmente bonificati, dati Ministero dell’Ambiente aggiornati al 26 novembre 2014). Una delle aree più a rischio è rappresentata proprio da Bari, sede fino al 1985 dello stabilimento “Fibronit”, fabbrica di manufatti a base di materiali altamente cancerogeni, collocata fra tre popolosi quartieri del capoluogo pugliese. Si calcola che circa 360 persone, tra residenti e lavoratori, siano morte a causa delle fibre di amianto diffuse nell’ambiente in quella zona. La Corte di Cassazione nell’aprile 2012 ha confermato la condanna dell’ex amministratore delegato del cementificio “Fibronit” di Bari per non aver adottato le necessarie cautele per ridurre ed eliminare il rischio di dispersione delle polveri killer. Inoltre la Suprema Corte ha dichiarato il manager responsabile penalmente non solo per il decesso dei dipendenti ma anche per quello dei cittadini residenti vicino allo stabilimento. La Puglia è fortemente colpita dall’inquinamento ambientale. Otre a Bari, va infatti ricordato il caso “Ilva” a Taranto. Nella Regione, in quindici anni (1993-2008), si sono registrate 814 diagnosi di mesotelioma. “I tempi di latenza della malattia sono molto lunghi – sottolinea il prof. Pinto -. Possono andare da 20 a oltre 45 anni dall’inizio dell’esposizione. L’età media alla diagnosi infatti è di circa 70 anni. E le ricadute sociali e giudiziarie non possono essere trascurate. Il materiale purtroppo è ancora presente nel nostro territorio: nelle scuole, nei tetti di edifici anche pubblici, negli ospedali, in case di riposo e aree residenziali e industriali attive o dismesse. L’amianto è un agente cancerogeno certo, oltre che per il mesotelioma pleurico, anche per polmoni, laringe, ovaio, peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo, colon-retto, esofago, stomaco e faringe”. L’area più a rischio in Italia è quella di Casale Monferrato, dove la fabbrica Eternit ha provocato più di 1.700 vittime. Ma, in questo caso, la Corte di Cassazione nel novembre 2014 ha annullato la sentenza di condanna dei vertici dell’azienda per prescrizione del reato. “Si tratta di una decisione molto grave – afferma il prof. Pinto -. I diritti dei malati e dei familiari devono essere riconosciuti”.
Oltre a Bari e Casale Monferrato, gli altri siti di interesse nazionale sono Broni-Fibronit (PV), Priolo-Eternit Siciliana (SR), Balangero-Cava Monte S.Vittore (TO), Napoli Bagnoli-Eternit, Tito-exLiquichimica (PO), Biancavilla-Cave Monte Calvario (CT) e Emarese-Cave di Pietra (AO).
“Negli ultimi anni – conclude il prof. Scagliotti – si è assistito a un miglioramento dell’efficacia dei trattamenti e del controllo dei sintomi di questa malattia. Buona parte di questi risultati va ricondotta all’introduzione dei farmaci chemioterapici. La terapia medica rappresenta infatti oggi il riferimento nel trattamento del mesotelioma. Inoltre i ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, in collaborazione con i colleghi dell’Ospedale San Antonio e Biagio di Alessandria, per la prima volta hanno sperimentato una nuova tecnica mirata per identificare i geni mutati responsabili della ridotta sopravvivenza nel mesotelioma. In questo modo è stato individuato un alto numero di mutazioni geniche legate alla precoce progressione del tumore e alla riduzione della sopravvivenza. L’identificazione di queste alterazioni consentirà di valutare il ruolo delle terapie a bersaglio molecolare in questa neoplasia”.