Dal Regno delle Due Sicilie a oggi c’è un legame mai sciolto tra Napoli e Catania: i due vulcani, il mare, ma anche le tradizioni gastronomiche si somigliano
Dal punto di vista turistico, poi, le attività da fare a Napoli sono quasi infinite. La città è in grado di regalare al visitatore scorci mozzafiato, passeggiate incantevoli, scoperte emozionanti. Certo, tutti conoscono la pizza e i babà (che fanno da contraltare alle specialità catanesi come la carne di cavallo o cannoli), o il Maschio Angioino e il Castel dell’Ovo, ma Napoli non è solo questo e soprattutto non è oleografia, ecco perché scriveremo di attività “alternative”.
Cupo è anche l’aggettivo che viene in mente quando si pensa ai quadri del Caravaggio, con le sue straordinarie combinazioni di luci e ombre: pur avendo vissuto meno di quattro anni a Napoli (in due fasi diverse della sua burrascosa esistenza), l’artista milanese ha però lasciato un ricco patrimonio artistico in città, ancora visibile in tre opere. La prima, la “Flagellazione di Cristo”, si trova al Museo Nazionale di Capodimonte e colpisce immediatamente per il contrasto tra la luce che illumina appieno il corpo straordinariamente realistico del Cristo e l’ombra che ammanta la parte restante del dipinto; al centro storico, presso la Quadreria del Pio Monte della Misericordia, si trova “Le sette opere di Misericordia”, che concentra la missione della Congregazione riportandone le opere caritatevoli svolte; la terza, infine, è “Il Martirio di Sant’Orsola” che si trova al Palazzo Zevallos Stigliano ed è proprio l’ultimo quadro completato dal Caravaggio nel 1610, a poche settimane dalla sua drammatica morte.
Storia e letteratura (con una vena di “gossip”) si intrecciano mei luoghi speciali del centro partenopeo: è stato nella Basilica di San Lorenzo Maggiore che nel dodicesimo secolo Boccaccio si innamorò di Fiammetta (probabilmente la figlia di re Roberto d’Angiò), che spesso appare come personaggio nelle sue opere romantiche, mentre Francesco Petrarca è stato ospite del convento annesso. La Cappella Sansevero, invece, in origine cappella funeraria della famiglia Di Sangro, deve la sua fama alle bizzarrie del Principe Raimondo e, soprattutto, alla presenza del meraviglioso “Cristo velato”. La Chiesa e il convento di Santa Chiara sono stati costruiti da Roberto d’Angiò per la moglie Sancha nei primi anni del quattordicesimo secolo, e hanno riacquistato le loro caratteristiche gotiche (nascoste dalla ristrutturazione barocca del diciottesimo secolo) dopo la ricostruzione del dopoguerra, necessaria a causa degli effetti di un raid aereo nel 1943.
Angelo Vargiu