La spettacolare fotografia dell’astronauta Samantha Cristoforetti: un fulmine illumina l’occhio del ciclone “Bansi”, ecco perchè è cosi raro

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La nostra astronauta, Samantha Cristoforetti, la scorsa settimana, mentre la Stazione Spaziale Internazionale transitava sopra l’oceano Indiano meridionale, è riuscita a scattare una delle fotografie più spettacolari di sempre su un ciclone tropicale. Difatti lo scatto, realizzato mentre sull’oceano Indiano era notte fonda, evidenzia un lampo all’interno delle imponenti bande nuvolose spiraliformi, che ruotavano attorno l’occhio del ciclone “Bansi”. Quello che più ha stupito è stato proprio l’effetto del riflesso sulle imponenti nubi torreggianti che circondavano l’occhio centrale del ciclone. Talmente forte da illuminarlo e renderlo visibile fin dallo spazio. Un immagine spettacolare, finora mai documentata, almeno dall’interno di un potente ciclone tropicale, come “Bansi”. Evento alquanto raro visto che generalmente è piuttosto difficile osservare delle fulminazioni di questa intensità all’interno di un ciclone tropicale, che supera la 3^ o la 4^ categoria della Saffir-Simpson. Solo nell’area prossima all’occhio centrale del ciclone tropicale si possono realizzare fulminazioni (non particolarmente diffuse comunque), proprio a ridosso del cosiddetto “Eye Wall”, ossia l’anello di nubi cumuliformi torreggianti che circonda l’occhio della tempesta.

Credit Samantha Cristoforetti from ISS

In questo caso l’attività elettrica può essere supportata dai notevoli contrasti termici e igrometrici fra l’aria molto secca (deumidificata dalle “Subsidenze”) presente all’interno dell’occhio, e quella molto più calda e impregnata di umidità che circola a gran velocità attorno quest’ultimo, all’interno della circolazione ciclonica. Parte del vapore acqueo presente attorno le imponenti formazioni nuvolose cumuliformi, di forma spiraliformi, può riuscire ad entrare dentro l’occhio della tempesta, interagendo con l’aria decisamente più secca e fresca ivi presente. Tale interazione con l’aria più secca e fresca dell’occhio può agevolare la formazione di chicchi di grandine, lungo la sommità dei cumulonembi, che smossi dalle forti correnti ascensionali possono provocare la separazione forzata delle particelle con cariche positive e negative, contribuendo così alla formazione del fulmine. Negli altri punti del ciclone, data anche la formidabile forza centrifuga, non vi sono le condizioni ideali per lo sviluppo di una attività elettrica degna di nota. Caso a parte è se la struttura mantiene lo status di depressione tropicale o semplice tempesta tropicale. In questo caso i “Clusters temporaleschi” hanno tutto il tempo per maturare con maggiore libertà, sfoggiando un corredo di fulminazioni anche piuttosto elevato lì dove l’attività convettiva risulti forzata (calore latente dal mare caldo).

Riguardo il ciclone “Bansi”, dopo aver sfiorato le isole di Reunion e Mauritius, transitando con il proprio nucleo centrale ad est del Madagascar, esso sta finendo la sua corsa sull’oceano Indiano meridionale. Ancora prima di essere agganciato dalle “Westerlies” australi il ciclone si è spostato su un’area caratterizzata da moderato “Wind Shear” che ha contribuito a tagliare di netto l’intera struttura, inibendo l’attività convettiva attorno il nucleo centrale. Il transito sopra acque superficiali sempre più fredde, a sud-est di Mauritius, ha poi dato il colpo di grazia alla tempesta, che ora si presenta come una innocua depressione tropicale, in via di rapido dissolvimento sull’oceano Indiano meridionale. Bisogna anche tenere presente che finora nel sud-ovest dell’oceano Indiano si sono registrati pochi cicloni tropicali con la stessa intensità di “Bansi”. La tempesta più forte mai registrata, fino ad oggi, è stata il ciclone tropicale “Agnielle”, nel Novembre 1995, che ha raggiunto addirittura la 5^ categoria della Saffir-Simpson. Gli altri cicloni tropicali di 5^ categoria Saffir-Simpson che hanno interessato l’oceano Indiano sud-occidentale sono stati “Geralda”, nel Gennaio del 1994, e “Gafilo”, nel Marzo del 2004.

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