L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la Sla è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia
Uno studio multicentrico internazionale ha identificato un nuovo gene associato alla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). La ricerca, pubblicata ieri sulla prestigiosa rivista Science, rappresenta uno sforzo sinergico della scienza mondiale. Hanno partecipato anche due neurologi e ricercatori italiani: il Prof. Vincenzo Silani ed il Dott. Nicola Ticozzi dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano – Centro “Dino Ferrari”, Università degli Studi di Milano, che hanno coordinato il Consorzio Slagen, costituito da sei centri di ricerca italiani esperti nella ricerca sulla Sla. “La Sla, di cui negli ultimi anni tanto si è discusso – dice Vincenzo Silani – per le sue relazioni con il gioco del calcio e, più recentemente, per l’Ice Bucket Challenge, è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni (le cellule del sistema nervoso che comandano i muscoli), determinando una paralisi progressiva di tutta la muscolatura. La malattia è letale in 3-5 anni e, a tutt’oggi, non esiste terapia efficace. L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la Sla è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica della Sla hanno iniziato a far luce su questi meccanismi, consentendo la creazione in laboratorio di nuovi modelli di malattia, fondamentali per lo studio di nuove molecole e farmaci”. Nello studio pubblicato su Science, i ricercatori hanno confrontato il genoma di 2.874 pazienti Sla con 6.405 individui sani ed hanno identificato un eccesso di mutazioni nel gene TBK1, codificante per la proteina TANK-binding kinase 1. “Sebbene l’esatto ruolo biologico della proteina non sia pienamente compreso – spiega Vincenzo Silani -, si ritiene che TBK1 sia coinvolta, assieme ad altri geni associati alla Sla, nei processi di autofagia, cioè quei meccanismi con cui i motoneuroni sono in grado di eliminare i componenti cellulari danneggiati. Si ritiene che l’alterazione di questi meccanismi determini un progressivo accumulo di proteine anomale all’interno delle cellule, portandole a morte. La scoperta delle mutazioni in TBK1 suggerisce quindi che alterazioni nei processi di autofagia e degradazione proteica possano essere determinanti nel causare la Sla. Sarà quindi di estremo interesse studiare questo nuovo meccanismo patogenetico nell’obiettivo di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci”. Nonostante i progressi degli ultimi anni, rimane ancora molto da fare per identificare completamente i fattori di rischio genetici associati alla Sla. Per questa ragione, i ricercatori del consorzio Slagen, diretto dal Prof. Vincenzo Silani, sono impegnati da anni in progetti di ricerca con l’obiettivo di sequenziare il genoma di tutti i pazienti Italiani affetti da Sla al fine di individuare nuovi geni e nuovi meccanismi patogenetici indispensabili per capire le cause della malattia. TBK1 oggi si aggiunge al largo numero di geni scoperti anche per apporto dei ricercatori italiani e del Consorzio Slagen costituito per brillante intuizione dal Prof. Silani nel 2010: ha imparato a fare corpo e procedere congiuntamente per debellare quella tremenda malattia che è ancora la Sla. Il lavoro pubblicato su Science è stato supportato da AriSLA – Fondazione Italiana di ricerca per la SLA, nell’ambito dei progetti Exomefals e Novals, beneficiari di un Grant di AriSLA (2009/2012) e co-finanziato grazie al contributo delle donazioni del 5×1000 per gli Enti della ricerca Sanitaria del Ministero della Salute: “Questa nuova scoperta rappresenta un ulteriore passo avanti che la ricerca sta compiendo in questi anni per la conoscenza dei meccanismi di esordio della SLA – esprime con soddisfazione Mario Melazzini, Presidente di AriSLA – ed è una conferma del valore scientifico dei ricercatori italiani. Il mio ringraziamento non solo va al prof. Silani e al suo gruppo di ricerca, ma anche alle migliaia di pazienti e loro familiari, motore trainante della comunità scientifica”.