I ricercatori hanno scoperto che le cellule della pelle dei pazienti presentano gli stessi difetti dei neuroni malati e sono dunque un ottimo modello sperimentale per studiare la malattia
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o morbo di Lou Gherig si puo’ studiare in provetta direttamente ‘sulla pelle’ dei pazienti: infatti ricercatori dell’Universita’ Cattolica di Roma hanno scoperto che le cellule della pelle dei pazienti ricapitolano la malattia, ovvero presentano gli stessi difetti dei neuroni malati e sono dunque un ottimo modello sperimentale per studiare la malattia. Resa nota sulla rivista Neurobiology of Aging, la scoperta e’ importante al punto che le linee cellulari studiate finora saranno messe a disposizione di tutti i ricercatori nella prima Biobanca nazionale dedicata alla SLA, progetto ideato da AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e che sara’ presto realizzato con il contributo della commissione scientifica di AISLA. La scoperta si deve a Mario Sabatelli, responsabile del Centro SLA del Policlinico Gemelli e rappresenta un importante passo avanti nella comprensione della malattia che colpisce i motoneuroni, cioe’ le cellule di cervello e midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. In questo studio e’ emerso che i fibroblasti, cellule della pelle che si prelevano facilmente con minibiopsie dai pazienti, riproducono molte delle alterazioni osservate nel cervello delle persone affette da SLA. E’ stata effettuata una piccola biopsia di pelle in 38 persone con SLA per ottenere colture di fibroblasti. “Abbiamo osservato – spiega Sabatelli – che in molti casi la proteina ‘TDP-43′, che ha un ruolo centrale nella SLA, presenta un comportamento anomalo anche nei fibroblasti dei pazienti”. “La scoperta e’ importante, infatti uno dei maggiori problemi nella ricerca sulla SLA – conclude – e’ che non abbiamo modelli sperimentali affidabili su cui studiare i meccanismi responsabili della malattia. Il cervello e’ un tessuto non accessibile in vivo e gli studi con modelli animali della malattia hanno dei limiti”.