Ptx3 mette i freni al cancro, si comporta come un oncosoppressore
Una storia che affonda le radici in un passato lontano: quando 20 anni fa l’immunologo italiano Alberto Mantovani, oggi ‘big’ internazionale della ricerca e direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), con il suo team diventava ‘padre scientifico’ di una molecola dell’immunità innata, Ptx3. Oggi quella scoperta torna di nuovo sotto i riflettori in uno studio pubblicato sulla rivista ‘Cell’, perché gli scienziati dell’Humanitas hanno aggiunto un tassello inedito alla carta d’identità del gene: Ptx3 mette i freni al cancro, si comporta come un oncosoppressore. E lo fa con un meccanismo nuovo e unico, tenendo sotto controllo la risposta infiammatoria e non agendo sulla cellula tumorale come tutti gli altri oncosoppressori fino a oggi noti. Lo studio, coordinato da Mantovani che è anche docente di Humanitas University, è finanziato dall’Airc (Associazione italiana per la ricerca contro il cancro) e, racconta lo scienziato, “ha coinvolto molti medici e ricercatori dell’Humanitas, in collaborazione con prestigiosi istituti internazionali”. Mantovani paragona la cellula tumorale a un’automobile con “l’acceleratore sempre schiacciato (sono sempre attivi gli oncogeni, i geni che la fanno riprodurre) e i freni che non funzionano (intendendo per ‘freni’ gli oncosoppressori che sopprimono la crescita tumorale). Altra caratteristica fondamentale della cellula tumorale è il fatto di essere inserita in una ‘nicchia ecologica’ particolare: un microambiente infiammatorio nel quale e grazie al quale cresce e prolifera”. Un ecosistema amico. Lo studio dimostra per la prima volta che Ptx3 frena la formazione del cancro e come ci riesce. “Le nostre ricerche – prosegue Mantovani – hanno evidenziato che in alcuni tumori (colon, pelle e un tipo di sarcomi) Ptx3 viene come ‘spenta’ precocemente, nel colon allo stadio di tumore benigno (adenoma). Questo spegnimento toglie i freni a una cascata di mediatori dell’infiammazione detta ‘complemento'”. E così “il tumore recluta ‘poliziotti corrotti’, i macrofagi, che ne promuovono la crescita e l’instabilità genetica. Si tratta di una scoperta inattesa, da cui ci aspettiamo importanti implicazioni sul fronte clinico”. La molecola Ptx3 era già candidata al trasferimento al letto del paziente: “Anche grazie al sostegno di Airc (programma 5×1000) – spiega l’immunologo – la stiamo testando come potenziale farmaco per impedire le infezioni da Aspergillus nei pazienti con tumore e difese immunitarie compromesse. Oggi, questa nuova scoperta fornisce un ulteriore motivo per attivare una sperimentazione clinica di Ptx3 contro i tumori”. I tempi? “Noi contiamo di andare in clinica entro fine anno, al massimo all’inizio del 2016”, annuncia Mantovani all’Adnkronos Salute. “L’innovazione, il fare ricerca che credo si possa definire di frontiera, paga – riflette lo scienziato – Ci vuole tanto tempo, percorsi lunghi. Pensiamo per esempio alle terapie che risvegliano il sistema immunitario: hanno alle spalle un viaggio lungo 20 anni e ora sono approvate per uso clinico. Ma bisogna avere il coraggio di puntare sulla ricerca innovativa, che è l’unica che dà frutti innovativi”. E andando indietro nel tempo, alla scintilla che ha dato origine all’avventura di Ptx3, si scopre che tutto ha avuto origine da una squadra di cervelli italiani oggi al top. Mantovani racconta: “C’era una collaborazione fra due gruppi di ricercatori, il mio e di Elisabetta Dejana, con Martino Introna e Ferruccio Breviario. Allora si andava a caccia di geni. Abbiamo avuto il coraggio di metterci a pesca e ci siamo concentrati su una famiglia di molecole che sono una delle parole chiave dell’immunologia, le interleuchine. Io ero a metà della mia carriera scientifica”. Oggi a distanza di 20 anni una nuova tappa. “La molla che ha fatto scattare altre ricerche è stata che volevamo andare in clinica con una molecola già disponibile e, sia per una questione di sicurezza dei malati ma anche per alcuni segnali che ci arrivavano da precedenti studi, abbiamo cominciato delle prove di carcinogenesi”, dalle quali è emerso il ruolo oncosoppressore di Ptx3. E’ stato “un viaggio ‘andata e ritorno’: dal banco del laboratorio al letto del malato e viceversa. Nella ricerca biomedica è importante questo intreccio bidirezionale. Siamo tornati al letto del paziente per vedere se questa scoperta fosse rilevante per i tumori umani e abbiamo provato che era così, che questo gene era spento in alcune neoplasie”. E adesso “la storia continua”.