A dieci giorni dalla violenta tempesta che ha colpito il nord del Cile, il numero delle vittime continua ad aumentare, mentre nella regione -una zona arida, dove si trova il deserto di Atacama, considerato il piu’ asciutto del mondo- cominciano a crescere le lamentele per il modo in cui e’ stato affrontato il disastro naturale. Secondo l’ultimo bollettino dell’Ufficio nazionale per le emergenze (Onemi) i morti confermati sono ormai 25, mentre i dispersi hanno superato il centinaio, il che significa che in una settimana il numero di morti si e’ duplicato mentre quello dei dispersi e’ quintuplicato. A questi si aggiungono 2.743 sfollati e oltre 29 mila persone che hanno sofferto danni nelle loro abitazioni. Ine’s Garay e’ una di queste sfollate. Da quando la sua casa e’ stata invasa da un fiume di acqua e fango che le arrivava alle ginocchia, nella notte del 26 marzo, si e’ dovuta rifugiare a casa di un’amica e da allora passa le sue giornate a spalare fango per le strade di Copiapo’, il capoluogo di Atacama che e’ stato il centro piu’ colpito dal maltempo: in meno di 48 e’ caduto il doppio della pioggia che riceve in media in un anno e mezzo. Racconta all’ANSA che, malgrado abiti sulla via principale della citta’. Ci ha messo un giorno e mezzo ad arrivare alla sede del comune, a circa duecento metri, dove erano giunti in molti, ma le autorita’ non avevano risposte da dare. “Al giorno d’oggi l’acqua non si e’ fermata, passa un fiume di fango e sporcizia che straripa le fogne. Siamo tutti contaminati”, racconta la donna, sottolineando “che si e’ cominciato a vaccinare i bambini contro l’epatite e il tetano”.