Solstizio d’estate: le leggende più famose in Italia e nel mondo

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Le leggende di Hell Stone, di Capri e di Azzurrina per il solstizio d’estate

Il solstizio d’estate ha alimentato, da tempi immemori, numerose leggende. Una delle più celebri riguarda proprio Stonehenge, precisamente la sua Hell Stone, detta anche Fryar’s Heel. Stando alla leggenda, il diavolo comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon; le altre vennero portate sulla piana. Allora il diavolo gridò: “Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui”. Un frate rispose: “Questo è ciò che credi!”; allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate, colpendolo su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno ed è ancora lì.

capriLe leggende, si sa, nascono in territori misteriosi, tramandandosi di voce in voce, arricchendosi secolo dopo secolo. Una leggenda italiana si svolge a Capri, in Campania. Si narra che una perfida maga, invidiosa dell’armonia che regnava a Capri, impose un maleficio sul re e sul principe, trasformandoli, rispettivamente, in ranocchio e lucertola azzurra. Proprio nel giorno del solstizio d’estate, una fanciulla stupenda, anch’essa vittima di un sortilegio e trasformata in una falchetta, commossa dallo sguardo malinconico della lucertola azzurra, la prese fra le zampe, prendendo il volo verso il Sole. Entrambi vennero liberati dal maleficio, ritornando all’isola, accompagnati da una luce abbagliante, segno della ritrovata felicità, liberando dal sortilegio anche il re. Ancora oggi a Capri il solstizio d’estate è un giorno di festa e da questa leggenda sono nate linee di gioielli molto note sull’Isola.

Una famosissima leggenda si svolge nel castello di Montebello che, nei secoli, è stato un luogo strategico per la difesa del territorio, tanto che la sua storia è costellata da sanguinose battaglie. Il nome “Montebello”, infatti, deriva dal nome romano “mons bellum” (monte della guerra). Diverse famiglie si sono succedute nel castello, ampliandolo, modificandone la torre di vedetta romana, sino a rendere la costruzione sempre più imponente e suggestiva. Non stupisce che tale luogo, così antico e ricco di avvenimenti, porti con sé una storia di fantasmi: la leggenda di Guendalina Malatesta, detta Azzurrina. La fanciulla, figlia di un certo Ugolinuccio, signore di Montebello, alimenta una leggenda popolare molto conosciuta in Romagna, tramandata oralmente per tre secoli, venendo di volta in volta distorta, ampliata, abbellita sino a che, nel 600, un parroco della zona la mise per iscritto assieme ad altre leggende e storie popolari della bassa Val Marecchia.

Guendalina era albina, cosa che, secondo la superstizione popolare del tempo, era collegata ad eventi di natura magica se non diabolica. Per questo motivo, il padre aveva deciso di farla sempre scortare da un paio di guardie, non facendola mai uscire di casa per proteggerla dalle dicerie e dal pregiudizio popolare. La madre le tingeva ripetutamente i capelli con pigmenti di natura vegetale estremamente volatili. A ciò si univa la scarsa capacità dei capelli albini di trattenere il pigmento, conferendo alla bimba riflessi azzurri che ne originarono il soprannome di Azzurrina. La leggenda narra che il 21 giugno del 1375, nel giorno del solstizio d’estate, mentre Azzurrina giocava nel castello di Montebello con una palla di stracci, fuori infuriava un temporale. Era vigilata da due armigeri di nome Domenico e Ruggero. Secondo il resoconto delle guardie, la bambina inseguì la palla caduta all’interno della ghiacciaia sotterranea. Avendo sentito un urlo le guardie accorsero nel locale, entrando dall’unico ingresso ma non trovarono tracce della bambina. Il suo corpo non venne più ritrovato. La leggenda vuole che il fantasma della bambina sia rimasto intrappolato nel castello e che torni a farsi sentire nel solstizio d’estate di ogni anno lustro (cioè che finisce per 0 e 5).

Un’altra leggenda racconta che nella notte del solstizio estivo il Sole e la Luna si sposano. Numerosi sono i riferimenti all’acqua e al fuoco: l’acqua che San Giovanni utilizza per battezzare i nuovi fedeli e il Cristo stesso; l’acqua in cui si fa cadere l’albume dell’uovo per trarre auspici sul futuro matrimonio di cui le giovani ragazze in età da marito si preoccupavano. Si dice che la prima acqua attinta al pozzo la mattina del 24 mantiene buona la vista; che recarsi all’alba sulla riva del mare per bagnarsi preserva dai dolori reumatici; mentre un’altra leggenda tramanda che, vicino al Noce di Benevento ci fosse un laghetto o un torrente in cui le donne si bagnavano proprio in questa notte, per aumentare la loro fertilità. E poi c’e’ la famosa rugiada; “la guazza di Santo Gioanno fa guarì ogni malanno”; per cui ci si sveglia all’alba del 24 per gettarsi nude sull’erba affinchè la rugiada propizi figli belli e sani. Ci si può anche bagnare il viso per diventare più belle; oppure la si raccoglie in una boccetta per usarla negli incantesimi d’amore. Non solo l’acqua ma anche il fuoco ha tantissimi usi, tra cui quello di mantenere viva la potenza solare nonostante il sole sia destinato a “perire” tanto che anticamente (ed ancora oggi, in molti paesi dell’est Europa), la notte precedente al solstizio si accendono grandi falò, radunandosi intorno ad essi per ballare e mangiare, dando fuoco ad alcune ruote di legno fatte rotolare giù dalle colline come gesto apotropaico per mantenere vivo il potere del sole. Il fuoco, in combinazione con le erbe sacre (iperico, ruta, lavanda, verbena ecc), propiziava fortuna e abbondanza.

In Veneto fino a pochi decenni fa si soleva allestire dei fuochi agli incroci, mentre a Pamplona, in Spagna, si bruciano alcune erbe per scongiurare fulmini e tempeste, due manifestazioni atmosferiche tipicamente estive. Anche i Berberi che stanno in nord Africa hanno dei festeggiamenti in concomitanza del 24 giugno e per questa occasione accendono dei fuochi molto fumosi per propiziare il raccolto dei campi e per guarire chi vi passa in mezzo, in modo simile al rito celtico in occasione del Beltane. In Brasile, a Fortaleza, c’è la Festa Junina in onore di São João e i falò fanno da sfondo all’unione delle coppie. Una forte impronta nord europea, conosciuta anche in Italia, ci ha fornito un vasto folklore sulle fate e sul loro avvicendarsi nella notte del solstizio. Una dicerìa popolare sconsiglia di dormire sotto ad un biancospino, poiché verranno le fate per rapirci. Per vederle? E’ sufficiente un olio a base di timo e lavanda, spalmato sulle tempie, che ce le mostrerà luminose e scintillanti.

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