Le stelle cadenti, protagoniste del cielo d’agosto, hanno da sempre caratterizzato la storia dei popoli, venendo considerate come funesti presagi o visioni portafortuna. Ricollegate al martirio di San Lorenzo, sono citate da Dante e da Giovanni Pascoli
C’e’ una notte, ogni anno, in cui i nostri desideri vengono ascoltati e sono destinati a essere esauditi. Si racconta che occorre scrutare, speranzosi, il cielo in un luogo tranquillo, aspettando che lo sguardo si posi su una delle piccole scie luminose che attraversano velocemente il firmamento. La notte in questione è quella magica, brillante e romantica di San Lorenzo e delle stelle cadenti che tornano, ogni anno, ad essere le protagonisti del cielo d’agosto, suscitando emozioni, incantando chi le osserva.
Nonostante l’appuntamento più noto sia quello del 10 agosto, il picco più atteso sarà tra il 12 e il 13 agosto. Complici le miti temperature delle serate estive, con il naso all’insù non ci saranno solo romantici scrutatori e curiosi ma anche chi, il cielo, è abituato a guardarlo per professione. Se oggi la “stella cadente” è associata ad un sentimento di lieto stupore, sentendosi quasi baciati dalla fortuna alla vista di questo evento naturale che, seppur non raro, appare straordinario, in passato non è sempre stato così (e più in là ne capiremo il perché). Si parla spesso di “lacrime di San Lorenzo”, ricollegandosi, in chiave cristiana, al martirio del Santo che nacque in Spagna, ad Osca, oggi Huesca, alle falde dei Pirenei, nel 225, la cui ricorrenza si celebra proprio il 10 agosto. Lorenzo completò assai giovane gli studi umanistici e teologici a Saragozza, allievo di quello che poi diventerà papa Sisto II, insieme al quale lasciò la Spagna per Roma. Qui il suo maestro venne eletto, alla morte di Stefano I, Vescovo dell’urbe e Papa il 31 agosto 257. Trentaduenne, Lorenzo venne proclamato Arcivescovo dal nuovo Papa, che gli assegnò, in quella veste, la responsabilità delle opere di carità della diocesi di Roma con oltre 1500 bisognosi, tra poveri e vedove, di cui egli si occupò. Nei primi giorni d’agosto del 258, però, un feroce editto di Valeriano ordinò l’immediata messa a morte di tutti i vescovi, presbiteri e diaconi e la confisca dei beni in loro responsabilità a favore dell’erario imperiale. A Lorenzo si offrì salva la vita in cambio della consegna dei tesori della Chiesa entro 3 giorni. Allo scadere del 10 agosto, il Santo si presentò davanti l’imperatore seguito dalla turba di diseredati cui prestava quotidianamente assistenza, dicendogli: “Ecco, questi sono i nostri tesori. Sono tesori eterni, non vengono mai meno e, anzi, aumentano sempre”, alludendo al fatto che sempre ci saranno donne e uomini bisognosi.
Lorenzo fu subito catturato e si procedette alla sua esecuzione, legandolo su una graticola ardente e bruciandolo vivo. Era il 10 agosto del 258 d.C. Questa la tradizione della quale non si ha certezza. Molti sono, invece, gli storici che sostengono che venne decapitato. L’iconografia tradizionale e quella ufficiale lo ritraggono, entrambe, con la palma del martirio e la graticola, indicante la tecnica del supplizio. Si racconta anche che il Santo, con spavalderia, rivolgendosi ai suoi aguzzini per invitarli a girarlo sulla graticola disse: “da quella parte sono già cotto, giratemi e poi mangiatemi!”. La memoria popolare aggiunse che il corpo del Santo, ben cotto, venne addirittura distribuito tra i poveri per placare la loro fame, quasi come ultimo atto della sua quotidiana pratica di carità. San Lorenzo è il patrono dei bibliotecari, cuochi, librai, pasticceri, pompieri, rosticcieri e lavoratori del vetro. La notte di San Lorenzo è anche chiamata, nella tradizione popolare, Notte dei fuochi di San Lorenzo poiché ricordano le scintille (poi volate in cielo) provenienti dalla graticola infuocata su cui fu ucciso il martire.
Tralasciando le celebri “lacrime di San Lorenzo”, nel Medioevo si riteneva che le scie luminose fossero gli spostamenti nel cielo delle anime dei defunti mentre, stando ad un’altra interpretazione, si trattava delle anime del Purgatorio che, nell’ascesa verso il Paradiso, recitavano il Padre Nostro. Lo stesso Dante ricorre all’immagine delle stelle cadenti per descrivere il repentino sopraggiungere di un’anima, quella dell’antenato Cacciaguida, nel XV Canto del Paradiso : “Quale per li seren tranquilli e puri/ discorre ad ora ad or subito foco,/movendo li occhi che stavan sicuri/ e pare stella che tramuti loco,/ se non che da la parte ond’e’ s’accende/nulla sen perde, ed esso dura poco…”. Se Plinio, Rutilio Palladino e Marcello rispettivamente nel Naturalis Historia, nell’Opus agricolturae e ne De medicamenti, collegavano la caduta delle stelle con la scomparsa di calli, verruche e malattie degli occhi, nell’antica Sparta la visione di una stella cadente aveva un significato politico: accadeva che ogni 9 anni i magistrati sorveglianti scrutavano il cielo. L’eventuale caduta di una stella era interpretata come segno sfavorevole degli Dei nei confronti del Re che veniva deposto.
Nella cultura Indù si riteneva che ogni stella cadente fosse un’anima ridiscesa sulla Terra per reincarnarsi, mentre nell’antica Persia, dedita allo Zoroastrismo, le stelle fisse erano considerate divinità minori, mentre quelle cadenti venivano viste come elementi di caos, forze demoniache chiamate “streghe”, capeggiate da Duzhyairya, la “strega della cattiva annata”. Per sconfiggerle e proteggere gli uomini, Sirio scagliava frecce contro di esse, mettendole in fuga. Persino il grande poeta Giovanni Pascoli, nel famoso “X Agosto” , rievoca la morte del padre, ucciso in un’imboscata mentre tornava a casa nella notte del 10 agosto 1867, così: “San Lorenzo, io lo so perché tantodi stelle per l’aria tranquilla/ arde e cade, perché si gran pianto/ nel concavo cielo sfavilla …..” Il Pascoli rievoca uno degli eventi più dolorosi della sua vita e a partecipare a questa tragica situazione vi è anche il Cielo infinito, immortale, immenso; il cielo della notte di San Lorenzo, famosa per le sue stelle cadenti, raffiguranti il pianto.