La Coldiretti stima che un milione di cinghiali siano a spasso per campi, boschi, nelle zone periferiche dei centri urbani e anche di città come Roma, ma il loro numero è presunto
In Italia è sempre più emergenza cinghiali. Sono tanti, troppi, devastano i raccolti, provocano incidenti stradali e rappresentano un pericolo per l’uomo, in circostanze particolari, come i fatti di cronaca di quest’estate hanno dimostrato. Ma quanti sono in realtà non si sa perché non esiste un censimento ufficiale. La conferma arriva dal Corpo Forestale dello Stato, che vigila per la corretta applicazione delle regole sulla fauna selvatica ed esercita controlli anche sull’attività venatoria. “Facciamo fatica a capire le dimensioni del fenomeno perché mancano i dati, nessuno fa un monitoraggio, se non in alcune zone circoscritte e, di fondo, manca una gestione della popolazione dei cinghiali” dichiara all’Adnkronos Luciano Sammarone, comandante provinciale del Cfs di Isernia che, ricorda come la competenza su questa materia, sia delle Regioni e delle Province e non dello Stato.
La Coldiretti stima che un milione di cinghiali siano a spasso per campi, boschi, nelle zone periferiche dei centri urbani e anche di città come Roma, ma il loro numero è presunto. Gli ultimi dati Ispra risalgono al 2005 quando veniva stimata una popolazione di 600 mila cinghiali, eppure si tratta di “una stima largamente approssimativa, basata sui dati relativi al numero di soggetti abbattuti annualmente (a loro volta spesso incompleti e sottostimati)” secondo quanto si legge nel report ‘banca dati ungulati’. Sempre la Coldiretti stima 100 milioni l’anno di danni provocati dalla fauna selvatica all’agricoltura. Ma se le cifre sono orientative un fatto è certo, l’impatto di questi ungulati sulle coltivazioni è davvero preoccupante tanto che la Cia, la Confederazione italiana agricoltori, nel denunciare una “situazione fuori controllo e non governata” invoca un intervento dell’esercito con un “piano di selezione”, “senza affidare il ‘governo’ di una partita così complessa ai cacciatori”, che, tra l’altro, sono additati da molti come i principali responsabili di questa invasione di cinghiali. Nel nostro paese infatti, negli anni ’70 e ’80 sono stati introdotti molti capi dall’Europa dell’Est, di taglia più grande e in grado di riprodursi più volte durante l’anno, proprio per soddisfare le esigenze dell’attività venatoria. E in effetti, anche dal punto di vista della caccia la deregulation regna sovrana.
“Il problema della gestione dei cinghiali è legato anche alla mancanza di un’attività che indirizzi la caccia – spiega ancora Sammarone – dal momento che si fa in battuta spesso incide sulla struttura sociale di un branco alterando gli equilibri tra i sessi, mentre servirebbero quelli che, in gergo tecnico si chiamano ‘prelievi selettivi mirati’, a seconda delle zone, e che vadano oltre la stagione venatoria, generalmente da ottobre a dicembre”. “Dal momento che si è di fronte a una vera e propria emergenza – sostiene il capo dei Forestali – si potrebbe alzare, per alcuni anni, la soglia delle eliminazioni visto che questo ungulato, il più diffuso in Italia, non è una specie minacciata né a rischio estinzione” suggerisce Sammarone. Un rimedio anti-cinghiale potrebbe arrivare proprio dalla natura, da un predatore temutissimo dall’uomo come il lupo, la cui popolazione sembra essere aumentata. Infatti “la preda preferita dal lupo – argomenta Sammarone – è proprio il cinghiale. Ora se gli allevatori riuscissero a proteggere meglio il loro bestiame, quale pecore, cavalli, vitelli, il lupo sarebbe sempre più costretto a cacciare il cinghiale”. Altre barriere anti-cinghiale sono le classiche recinzioni elettrificate, non sempre efficaci se la popolazione degli ungulati in una certa zona è particolarmente numerosa.
Il cinghiale comunque, dove va, genera quasi sempre conflitto anche perché si muove in branco. E genera danni tali che, in tempi di scarsità di risorse, le Regioni spesso hanno difficoltà a risarcire agli agricoltori. Gli indennizzi tardano ad arrivare e, in caso di devastazioni a coltivazioni di pregio, quali ad esempio i vigneti, sono davvero consistenti e gravosi per le amministrazioni. Ma come mai, in pochi anni, questa specie si è così tanto moltiplicata? Tra le principali ragioni, oltre alla fonte di cibo rappresentata dai campi coltivati, influisce anche il fenomeno contrario, dell’abbandono delle campagne. I boschi, habitat ideale e rifugio dei cinghiali, aumentano e si avvicinano sempre più ai centri urbani, le città si stanno espandendo e dunque la distanza tra mondo selvatico e uomo si riduce. I cinghiali poi hanno una capacità di adattamento fenomenale, possono vivere in montagna, nelle zone appenniniche ma a differenza di altri ungulati quali cervi e caprioli che vivono solo in alta montagna, possono arrivare e pascolare in zone basse, perfino sulle spiagge in riva al mare. “L’importante comunque – conclude Sammarone – è avere il massimo rispetto degli animali selvatici”. L’orso, il lupo, il cinghiale infatti, possono incutere timore ma se si resta alla larga, se si evita il contatto e si evita di aggredirli, si può trovare un buon compromesso per conviverci.