L’effetto salvacuore è stato osservato con entrambi i dosaggi di farmaco valutati (10 e 25 mg), e viene quindi ritenuto indipendente dalla riduzione dello zucchero nel sangue
Per la prima volta un farmaco antidiabete 2 attivo sui livelli di glicemia si è dimostrato in grado di abbattere il rischio di mortalità cardiovascolare nei pazienti con malattia del sangue dolce: la riduzione ottenuta con empagliflozin è del 38%, e si associa a un calo del 32% della probabilità di morte per tutte le cause e a un -35% del rischio di ricovero per scompenso cardiaco. I dati dello studio ‘Empa-Reg Outcome’ – pubblicati sul ‘New England Journal of Medicine’ e presentati al Congresso europeo di diabetologia in corso a Stoccolma – vengono descritti dagli esperti come “una possibile svolta nella terapia del diabete e nella prevenzione dei decessi per eventi cardiovascolari. Il killer numero uno dei diabetici”. Empagliflozin (Jardiance*), un SGLT2-inibitore sviluppato nell’ambito dell’alleanza fra la tedesca Boehringer Ingelheim e l’americana Eli Lilly, è già disponibile in Italia.
Nel trial, ritenuto dagli addetti ai lavori “lo studio di punta” al meeting Easd 2015, sono stati trattati in tutto oltre 7.000 pazienti di 42 Paesi. Diabetici e ad alto rischio cardiovascolare, e per questo già in trattamento. Il periodo medio di osservazione è stato di circa 3 anni. Nel gruppo trattato con il farmaco, rispetto ai controlli, non sono state registrate differenze significative nei tassi di infarto e ictus. Ma sia la mortalità cardiovascolare sia quella per tutte le cause hanno segnato un calo superiore a un terzo. Per gli specialisti “un dato storico”. L’effetto salvacuore è stato osservato con entrambi i dosaggi di farmaco valutati (10 e 25 mg), e viene quindi ritenuto indipendente dalla riduzione dello zucchero nel sangue: una proprietà intrinseca della molecola, attiva oltre che sulla glicemia anche su pressione arteriosa, peso, grasso viscerale e funzionalità cardiorenale. Sul fronte degli effetti cardiovascolari, nel gruppo trattato si è avuto un aumento delle infezioni uro-genitali. Gli altri eventi avversi sono invece risultati in linea con i controlli. “Questi risultati sono nuovi ed entusiasmanti – dichiara il canadese Bernard Zinman (Mount Sinai Hospital e università di Toronto), lead investigator dello studio – Agire sugli eventi cardiovascolari, compresa la morte, è la priorità nella cura del diabete. Finora nessun singolo farmaco antidiabete è stato associato a una riduzione della mortalità”. “Dallo studio – commenta ai giornalisti italiani Enzo Bonora, presidente della Sid (Società italiana di diabetologia) – sono emerse percentuali di riduzione del rischio cardiovascolare simili a quelle ottenute dalle statine anticolesterolo o dagli antipertensivi, la cui somministrazione è ormai diventata un ‘must’ nelle persone a rischio, con o senza diabete”. La prospettiva che si apre è quindi “la rivisitazione dell’algoritmo terapeutico del diabete. Possiamo cioè pensare – precisa l’esperto – che accanto alla metformina questo farmaco, e forse anche altri della stessa famiglia, possa diventare la prima scelta nel trattamento del diabete rispetto ad altre terapie pure utili e importanti”. “Dobbiamo infatti ricordare – puntualizza Bonora – che non tutti i diabetici possono assumere la classe di farmaci alla quale appartiene empagliflozin. Controindicata per esempio ai pazienti con insufficienza renale, i più a rischio di eventi cardiovascolari potenzialmente letali. Ben vengano dunque i risultati di questo lavoro. Sono dati che accogliamo con grande attenzione e apertura, pur senza dimenticare che noi diabetologi abbiamo bisogno di tanti farmaci diversi e con meccanismi d’azione differenti, e ne avremo sempre più bisogno anche in futuro”. “In questi giorni di congresso una grande aspettativa ha animato la comunità scientifica internazionale nell’attesa dei risultati dello studio Empa-Reg – aggiunge Stefano Del Prato, presidente della Fondazione Diabete ricerca e past president della Sid – Questo perché la prevenzione delle complicanze cardiovascolari è sempre più una priorità nel trattamento delle persone con diabete”. “In questo senso i dati emersi rappresentano un ‘turning point’ – assicura lo specialista – Già per la metformina è stato rilevato un effetto nella riduzione del rischio cardiovascolare associato al diabete, ma lo studio era su piccoli numeri mentre questo trial ha coinvolto migliaia di pazienti” e riguarda un farmaco diverso: il primo antiperglicemico ad avere dimostrato un effetto salvavita sul cuore. “Ciò apre a una serie di prospettive nuove ed estremamente allettanti”, prosegue l’esperto. “Emerge infatti ancora più chiaramente che il diabete è una malattia metabolica complessa, da trattare in quando tale: non solo riducendo la glicemia, bensì cercando di agire su tutti i parametri di rischio cardiovascolare. Che si utilizzi una ‘magic pill’, piuttosto che una ‘poli-pill’ o una terapia multipla – conclude Del Prato -l’approccio alla malattia diabetica dovrà necessariamente essere sempre più multifattoriale”.