Ne soffrono oltre 150.000 italiani: sono le malattie infiammatorie croniche intestinali

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La colite ulcerosa e la malattia di Crohn sono le due malattie infiammatorie intestinali più comuni

In Italia le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (o IBD – Inflammatory Bowel Diseases) colpiscono circa 150-200.000 persone, soprattutto giovani tra i 15 e i 40 anni. Sono patologie croniche che, incidendo sulla sfera privata, lavorativa e sociale, oltre a condizionare in maniera importante la vita di chi ne soffre, generano un impatto significativo anche sulla spesa pubblica socio-sanitaria. Le IBD sono al centro del Dialogue Meeting dal titolo “Chronic Diseases: Sustainability and Innovation”, che si sta svolgendo da ieri a oggi 23 settembre a Roma, presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico, promosso dalla testata di politica economica e sanitaria Italian Health Policy Brief, con il supporto incondizionato di Takeda Italia e il patrocinio della SIF, Società Italiana di Farmacologia. Nel corso delle due giornate, esponenti del mondo scientifico e accademico, insieme a rappresentanti delle istituzioni, dell’industria e dei pazienti, si stanno confrontando in un dialogo aperto per meglio comprendere le esigenze di chi soffre di queste patologie, in un contesto in cui la disponibilità di nuove classi di farmaci biotecnologici non può prescindere dalle considerazioni sulla sostenibilità del sistema sanitario. La colite ulcerosa e la malattia di Crohn sono le due malattie infiammatorie intestinali più comuni. Sono entrambe caratterizzate da un processo infiammatorio cronico, ma si differenziano in modo sostanziale per quanto riguarda sia la localizzazione che la natura dell’infiammazione della mucosa intestinale. Entrambe le malattie possono avere periodi di latenza alternati a fasi di riattivazione dell’infiammazione, in cui compaiono sintomi quali diarrea, febbre, dimagrimento, profonda stanchezza, inappetenza. Queste patologie, che colpiscono uomini e donne in piena attività produttiva, rappresentano vere e proprie “malattie sociali”, poiché a causa dei frequenti monitoraggi clinico-strumentali e dei trattamenti terapeutici richiesti (fino all’intervento chirurgico), la vita di chi ne soffre e dei loro familiari è profondamente condizionata in tutti i suoi ambiti: da quello sociale e affettivo alla gestione dell’attività lavorativa. Non solo: le IBD, la cui incidenza è in costante crescita, determinano costi sanitari rilevanti, che possono aumentare nei casi, non rari, di ritardo diagnostico o fallimento terapeutico. Fino a circa 15 anni fa i trattamenti disponibili erano solo steroidi e immunosoppressori, farmaci non sempre soddisfacenti in termini di efficacia e di sicurezza d’impiego. La disponibilità dei farmaci biotecnologici ha rivoluzionato la terapia medica delle IBD. Questi farmaci sono in grado di promuovere e mantenere la remissione dei sintomi in un’ampia proporzione di pazienti affetti da forme gravi, non responsive ai trattamenti farmacologici convenzionali. Tuttavia, ancora molti pazienti che non rispondono o smettono di rispondere a queste terapie, sono in attesa di nuove terapie. “Con l’introduzione dei farmaci biotecnologici, abbiamo offerto ai pazienti un’importante innovazione e una reale possibilità di controllo delle malattie infiammatorie immuno-mediate” ha dichiarato il professor Corrado Blandizzi, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa. ”Tuttavia, a differenza di altre malattie, quali l’artrite reumatoide o la psoriasi, nelle patologie infiammatorie croniche intestinali disponiamo al momento di una sola classe di farmaci biotech, detti “anti TNF”, che lasciano aperte alcune problematiche cliniche, quali la refrattarietà al trattamento per alcuni pazienti, la risposta positiva solo parziale per altri e la possibilità di reazioni avverse anche molto gravi. Questi limiti hanno stimolato la ricerca di nuovi farmaci biotecnologici: uno dei filoni di ricerca più promettenti è l’area d’indagine, di studio farmacologico e sviluppo clinico, dei farmaci detti “anti-integrine”, fattori molecolari che hanno dimostrato di svolgere un ruolo importante nel mediare l’attività infiammatoria delle cellule immunitarie nella colite ulcerosa e nella malattia di Crohn. A breve sarà disponibile per l’impiego clinico anche in Italia una nuova molecola anti-integrina, già approvata negli Stati Uniti e in Europa, risultato di questo tipo di ricerca”, ha concluso Blandizzi. Una nuova prospettiva terapeutica, caratterizzata da un nuovo meccanismo d’azione, selettivo per l’intestino, che potrà migliorare la qualità della vita dei pazienti, permettendogli anche di ritrovare l’abilità lavorativa e che, pertanto, potrà condurre a una riduzione dei costi diretti e indiretti che queste patologie generano sul SSN. La questione dell’innovazione in ambito farmacologico è infatti ormai sempre più legata al tema della sostenibilità del sistema sanitario, come espresso dal professor Francesco Rossi, Presidente della Società Italiana di Farmacologia: “Oggi nel mondo del farmaco viviamo un periodo molto vitale, dal punto di vista del trattamento delle patologie croniche intestinali, grazie alla ricerca ed ai farmaci innovativi che stanno per essere introdotti e che promettono di curare sempre meglio il paziente” dichiara il professor Rossi. “Vorrei tuttavia aggiungere che l’innovazione, essenziale per il progresso della cultura farmacologica, è oggi più che mai, connessa, in Italia e a livello internazionale, al problema della disponibilità economica. E’ importante che si trovino le risorse per sostenere l’innovazione, per evitare che, in caso di mancanza, in Italia si acceda ai trattamenti all’avanguardia in ritardo rispetto agli altri Paesi”, ha concluso Rossi.

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