Per la prima volta, viene firmato un patto fra specialisti, medici del territorio e pazienti per realizzare un nuovo modello di cura che riguarda i 3 milioni di italiani con storia di tumori che si sottopongono al follow up
I costi reali delle visite di controllo in oncologia, pari a 400 milioni di euro ogni anno, superano di 10 volte quelli attesi (40 milioni). La causa è da ricercare nella prescrizione di troppi esami inutili o inappropriati e nella scarsa comunicazione fra oncologo e medico di famiglia. Per la prima volta, viene firmato un patto fra specialisti, medici del territorio e pazienti per realizzare un nuovo modello di cura che riguarda i 3 milioni di italiani con storia di cancro che si sottopongono al follow up, cioè alle visite di controllo successive alla fase acuta della malattia. Oggi i pazienti restano in carico allo specialista per un tempo indefinito. Nel nuovo modello invece è previsto il passaggio dall’ospedale al territorio (in tempi che variano in relazione allo stadio della neoplasia e all’età della persona in cura), con la possibilità che i pazienti tornino dall’oncologo nel caso vi sia il sospetto di recidiva. In questo modo potrà essere ottimizzata l’assistenza e diminuiranno i tassi di ospedalizzazione durante la sorveglianza clinica. E sarà risparmiato almeno il 30% delle risorse, da investire in terapie innovative. I nuovi principi cardine a cui si devono ispirare le visite di controllo sono contenuti nel documento di consenso firmato oggi a Roma da tutte le società scientifiche coinvolte e dalle associazioni dei pazienti nel corso della Consensus Conference “Dalla pratica del follow up alla cultura di survivorship care”, organizzata dall’Associazione Italiana di Oncologia (AIOM).
“Il follow up oncologico, cioè la sorveglianza clinica dopo il trattamento di un tumore – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM e Direttore dell’Oncologia Medica dell’Azienda ASMN-IRCCS di Reggio Emilia -, non ha solo il significato di anticipare la diagnosi di una eventuale recidiva, ma deve riguardare tutte le condizioni che influiscono sulla qualità di vita della persona. Finora si è posto l’accento solo sul primo aspetto e non sono stati considerati gli ulteriori bisogni delle persone colpite dal cancro e, soprattutto, non sono stati messi in atto percorsi virtuosi. L’insieme di queste funzioni viene riconosciuto come survivorship care, cioè come ‘cura’ della persona guarita. Solo in questo modo potremo realizzare una più completa gestione delle problematiche di salute, grazie all’alleanza con i medici di famiglia. Nel nuovo modello infatti è previsto che lo specialista formuli un programma di follow up, come già avviene nei Survivorship Care Plan raccomandati dall’American Society of Clinical Oncology (ASCO). Da un lato il paziente può conoscere tipo e durata dei controlli, dall’altro al medico di famiglia viene inviata una lettera con informazioni precise e con l’indicazione dello specialista di riferimento in caso di dubbi. La programmazione del follow up deve essere esplicita, chiara e condivisa da tutti. Questo modello avrà un enorme impatto in termini di razionalizzazione delle risorse e di risparmi”. Nel 2014 sono stati stimati in Italia 365.500 nuovi casi di cancro. Alcuni fra i tumori più frequenti, come quelli del colon retto (52.000), del seno (48.000) e della prostata (36.000) generano bisogni di salute superiori rispetto a quelli della popolazione generale, che persistono nel tempo. E la qualità di vita di questi pazienti è condizionata dai trattamenti ricevuti, dalle comorbidità e dalla condizione di disagio psicologico. “I costi molto alti delle visite di controllo – continua il dott. Gianmauro Numico, Direttore dell’Oncologia all’Ospedale di Alessandria e presidente della Consensus Conference insieme al prof. Pinto – sono dovuti anche a una diffusa tendenza alla ipermedicalizzazione dei pazienti. Il follow up intensivo, inteso come l’aggiunta di esami strumentali e di laboratorio alla sorveglianza clinica, ha un’efficacia variabile nelle diverse patologie. Va certamente scoraggiato l’utilizzo di procedure non suffragate da evidenza e non suggerite dalle linee guida. In casi particolari, l’applicazione di nuovi metodi può favorire l’anticipazione diagnostica, ma tutto ciò va dimostrato nel contesto di studi clinici. Inoltre la maggioranza dei pazienti oggi non sviluppa recidive. Per questo è fondamentale che le visite di controllo rispondano ai nuovi bisogni di cure dovuti a invalidità e inabilità (ad esempio impotenza o incontinenza) che la malattia e i trattamenti possono causare. Inoltre le visite di controllo rappresentano l’occasione per offrire consigli sui cambiamenti dello stile di vita in grado di influire positivamente sulla prognosi. Non può quindi essere sottovalutato il significato più ampio del follow up che spazia dalla sorveglianza delle tossicità tardive delle terapie, alla diagnosi precoce di secondi tumori, ai percorsi di riabilitazione, ai consigli su stili di vita corretti, fino al supporto psicologico”. In che modo è possibile realizzare questo obiettivo? Innanzitutto, come specificato nel documento di consenso, vanno coinvolte tutte le professionalità rilevanti evitando sovrapposizioni e ridondanze, deve essere individuata una figura di coordinamento che rappresenti un riferimento continuativo ed esplicito per il paziente ed è necessario seguire una programmazione condivisa e adattata alle specifiche condizioni della persona colpita dalla malattia. “L’ottimizzazione del follow up porta ad una riduzione della spesa sanitaria – afferma il dott. Elvio Russi, Presidente Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica (AIRO) – utilizzando criteri di appropriatezza e non subendo il solito ed ingiusto ‘taglio lineare’. Mi auguro che la razionalizzazione della spesa possa consentire investimenti nell’informatizzazione del fascicolo sanitario dei pazienti con grande beneficio per la sanità italiana. Infatti ciò consentirà da un lato una più facile ed attenta presa in carico multidisciplinare del singolo paziente e dall’altra un più attento monitoraggio degli effetti tardivi e dell’efficacia delle terapie. Ne trarranno vantaggi tutti: i pazienti più appropriatamente seguiti nei loro effettivi bisogni, i singoli specialisti che potranno avere a disposizione una grande mole di dati (c.d. data-mining) per poter migliorare la terapia e le fonti di ricerca”. In questo senso il documento di consenso sul follow up delinea strategie condivise che si traducono nel miglior uso di questi strumenti. “Per molte neoplasie oggi è possibile parlare di cronicizzazione – sottolinea il dott. Claudio Cricelli, presidente Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG) -. Quindi non è pensabile che queste persone siano seguite per 10-15 anni solo dal centro di riferimento. È necessario coinvolgere i medici di famiglia, che potranno svolgere un ruolo fondamentale nel gestire i pazienti cronicizzati o guariti con rischio molto basso di ricaduta e con scarse problematiche cliniche. E il programma di follow up stilato dallo specialista è uno strumento fondamentale per migliorare il dialogo fra ospedale e territorio. Le modalità di interazione possono essere modulate sulla base del rischio di ricaduta, degli effetti collaterali tardivi e del contesto clinico. I pazienti a basso rischio o con comorbidità rilevanti possono essere reindirizzati precocemente al medico di medicina generale. Le persone a rischio intermedio possono essere seguite con un modello sequenziale o di alternanza tra i due professionisti. I pazienti ad alto rischio richiedono un maggiore e più continuativo coinvolgimento dello specialista, almeno nei primi anni. L’applicazione di un modello personalizzato consente plasticità organizzativa, contenimento dei costi e facile applicabilità”. Le conseguenze della malattia possono lasciare tracce psicologiche profonde e ferite in grado di minacciare le relazioni personali e, più in generale, lo stato di benessere individuale. E non vanno dimenticate le difficoltà legate al reintegro sociale e lavorativo di chi, per un periodo prolungato, ha dovuto rinunciare alla propria attività e all’esercizio del proprio ruolo nella società. Su questi aspetti è possibile intervenire in modo efficace, attraverso percorsi di riabilitazione, di sostegno psicologico e di counselling. “Abbiamo deciso con entusiasmo di sostenere il progetto dell’AIOM sul follow up – conclude il dott. Luigi Boano, General Manager Novartis Oncology Italia – che propone una gestione integrata del paziente tra oncologo e medico di base nella fase di follow up. Siamo particolarmente attenti al progetto anche perché avrà una ricaduta positiva sui pazienti. Novartis è da sempre impegnata nell’Oncologia di Precisione, con la ricerca della miglior terapia per ogni paziente, nella sua specificità e nel rispetto dell’appropriatezza e della sostenibilità complessiva del sistema”.