In alcune donne la malattia scompare completamente grazie al trattamento, che in altre invece non da alcun beneficio. Secondo gli scienziati la risposta alla terapia dipende soprattutto dal sistema immunitario
In donne colpite da tumore al seno il sistema immunitario può contribuire a identificare le pazienti che possono trarre maggior beneficio dai trattamenti disponibili e a definire quelle ad alto e basso rischio di una recidiva, offrendo la possibilità di impiegare nuove terapie immunoterapiche. E’ quanto emerge da due importati studi pubblicati sulle riviste scientifiche Annals of Oncology e Clinical Cancer Research, condotti dai ricercatori del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale San Raffaele, una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo Ospedaliero San Donato, e dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in collaborazione con altri gruppi di ricerca stranieri e italiani. Gli studi hanno ricevuto il sostegno dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc) e della Fondazione Michelangelo. Il carcinoma della mammella è la neoplasia più frequente nel sesso femminile e da sola rappresenta il 19% dei tumori che colpiscono le donne. Di questa malattia esistono molti sottotipi che differiscono dal punto di vista molecolare, biologico e clinico. I principali sono tre: i tumori luminali (che esprimono il recettore per gli estrogeni ma non la proteina HER2), quelli HER2-positivi (che esprimono la proteina HER2) e quelli triplo-negativi (che non esprimono nessuna di queste proteine).
Il primo studio, guidato dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele e pubblicato su Annals of Oncology, prende in esame pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo, trattate con anticorpi monoclonali contro la proteina HER2 e chemioterapia (lo standard attuale di trattamento). I ricercatori hanno notato che in queste donne la risposta al trattamento era estremamente eterogenea: in alcune di esse la malattia scompariva completamente grazie al trattamento, in altre invece la terapia non dava alcun beneficio. Gli scienziati hanno dimostrato che ciò dipende in buona parte dal sistema immunitario. In particolare, è stata individuata una proteina, PDL1, coinvolta nell’inibizione del sistema immunitario, che secondo i ricercatori funzionerebbe come un freno all’efficacia dei trattamenti. Nel secondo studio, inizialmente concepito presso l’Istituto Nazionale dei Tumori e pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research, i ricercatori hanno individuato un ruolo fondamentale del sistema immunitario nel definire il rischio di recidiva e la possibilità di beneficiare della chemioterapia per le pazienti affette da tumore mammario triplo-negativo, un sottotipo in genere molto aggressivo che rappresenta il 15% dei tumori mammari e viene trattato con la sola chemioterapia. In particolare, studiando il profilo di espressione genica di più di 3000 pazienti, è stato definito un marker immune, composto da sei geni associati a specifiche componenti del sistema immunitario (ai linfociti T). Grazie a questo marker gli studiosi hanno suddiviso le pazienti in tre gruppi, corrispondenti a un’alta, intermedia e bassa presenza di cellule immunitarie. Gli scienziati hanno potuto osservare che le pazienti con elevato numero di cellule del sistema immune (elevata espressione del marker) avevano una buona prognosi anche senza alcun trattamento e la prognosi era ancora più favorevole grazie alla somministrazione di chemioterapia. Al contrario, le pazienti con scarse o assenti cellule del sistema immune (bassa espressione del marker) avevano un’alta probabilità di presentare una recidiva se non trattate, ma il loro rischio rimaneva elevato nonostante la somministrazione di chemioterapia, con più del 40% di possibilità di sviluppare metastasi.
“Identificare le pazienti ad alto rischio di recidiva nonostante l’uso di terapia standard – afferma Giampaolo Bianchini del dipartimento di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale San Raffaele – consente di offrire preferenzialmente a queste pazienti l’opzione di partecipare a studi clinici nei quali vengano proposti nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche”. “Complessivamente – dice Luca Gianni, direttore del dipartimento di Oncologia Medica – questi risultati ci suggeriscono di estendere al tumore mammario l’impiego di farmaci immunoterapici (inibitori dei checkpoint immuni) mirati a sbloccare l’effetto inibitorio sul sistema immunitario di proteine come PDL1, che in molte altre neoplasie hanno già mostrato grande efficacia”. “Sulla base di questi dati – aggiunge – è stato avviato in questi giorni uno studio internazionale da noi coordinato per valutare l’utilizzo di queste molecole immunoterapiche in associazione alla chemioterapia nel carcinoma triplo-negativo localmente avanzato”.