L’indagine sul flusso sanguigno nella stazione spaziale

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Sulla Terra il sangue scorre dal cervello di una persona verso il cuore in parte grazie alla forza di gravità, ma si sa molto poco su come questo flusso scorra in condizioni di microgravità. Parecchi membri dell’equipaggio a bordo della Stazione Spaziale Internazionale segnalano mal di testa e altri sintomi neurologici nello spazio, che possono essere correlati all’effetto della microgravità sulla circolazione sanguigna cerebrale. L’indagine Brain Drain, che è stata completata nel mese di luglio 2015, ha misurato il flusso sanguigno dal cervello al cuore di un membro dell’equipaggio per aiutare i ricercatori a capire meglio come il flusso è influenzato dalla microgravità e come i processi fisici nel corpo possono compensare la mancanza di gravità, assicurando che il sangue scorra correttamente.

Credit: NASA TV
Credit: NASA TV

La circolazione cerebrale del sangue è uno dei principali regolatori della fisiologia del cervello umano. A causa della variabilità e della complessità del sistema venoso cerebrale (la raccolta delle vene nel ed attorno al cervello), gli scienziati attualmente sono privi di un approccio affidabile ed oggettivo per misurare il ritorno venoso cerebrale (il flusso di sangue dal cervello al cuore attraverso le vene giugulari). Gli scienziati sanno che, sulla Terra, il ritorno è influenzato dalla gravità quando i soggetti sono in posizione verticale, e dalla respirazione, o inspirazione, quando i soggetti stanno supini. Tuttavia, si sa molto poco sui meccanismi che garantiscono il deflusso sanguigno dal cervello in condizioni di microgravità.

Nel tentativo di misurare questo deflusso, un team di ricerca guidato dal professor Paolo Zamboni dell’Università di Ferrara, ha sviluppato un sistema di pletismografia estensimetra per indagare questi processi. La strumentazione è stata utilizzata a bordo della stazione spaziale sia per studiare il ritorno venoso cerebrale in condizioni di microgravità, che per comprendere correttamente i fenomeni di adattamento fisiologico.

La pletismografia estensimetra è una tecnica non invasiva che misura le variazioni di flusso sanguigno dal cervello al cuore utilizzando un sensore allargato che circonda il collo e le estremità superiori e inferiori. Lo strumento è stato sviluppato dal team ed utilizzato per la prima volta nel 2012 per valutare il deflusso cerebrale confrontando soggetti sani con pazienti affetti da sclerosi multipla.

“Ero interessato a misurare il deflusso venoso, ma le attuali metodologie ecodoppler e gli altri sistemi di diagnostica hanno una ripetibilità molto bassa, problemi tecnici, e dipendenza dell’operatore”, ha spiegato Zamboni. “La sfida era quella di inventare un dispositivo non invasivo con buona ripetibilità”.

Il dispositivo è facile da usare, non operatore dipendente, non invasivo e portatile. Il protocollo è stato sviluppato con video-clip ecografici ad alta risoluzione che mostrano in tempo reale la pulsazione delle carotidi e delle giugulari, sincronizzati con l’attività elettrica del cuore come mostrato da un elettrocardiogramma. I dati di questa indagine possono contribuire ad un quadro più completo sulle interazioni cuore-cervello in condizioni di microgravità.

Nel corso di due sessioni di pre-volo, quattro sessioni in volo e due sessioni di post-volo, l’astronauta Samantha Cristoforetti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) è stata monitorata utilizzando i pletismografi durante l’attività normale, l’attività muscolare e l’attività respiratoria.

Ha descritto la sua esperienza nel suo blog nel gennaio 2015: “Mentre indossavo questi collari al collo, braccio e gamba, ho eseguito una serie di respiri al 70% della mia capacità polmonare, sia rimanendo ferma che flettendo la mano o la mia caviglia . Mentre facevo tutto ciò, respiravo nel nostro sistema di funzione polmonare e il programma, grazie ad un’interfaccia grafica, mi dava istruzioni su quando iniziare l’espirazione o l’inspirazione. “Questo ha permesso ai ricercatori di misurare il polso cardiaco, l’afflusso di sangue al cervello e il polso giugulare (maggiore deflusso dal cervello al cuore).

Zamboni ha incorporato la respirazione e attività muscolare nel protocollo Brain Drain per capire meglio se i processi fisici di questo tipo possono compensare la mancanza di gravità al fine di garantire che il sangue scorra in modo corretto. Mentre la strumentazione e il protocollo hanno avuto successo, l’indagine riguardava un solo soggetto di prova, così Zamboni riconosce la necessità di reclutare altri soggetti in studi futuri per garantire la ripetibilità e per raccogliere ulteriori dati.

“Abbiamo bisogno [di studiare] almeno 15-20 soggetti per assicurare che i dati che raccogliamo siano robusti e così potremo essere più fiduciosi nelle nostre conclusioni,”, ha spiegato Zamboni.

Il successo della ricerca potrebbe aiutare gli scienziati a sviluppare contromisure che influenzeranno il futuro dei voli spaziali umani in missioni di lunga durata.

Si potrebbe anche avere un impatto per la comunità medica sulla Terra, in particolare per i medici che trattano pazienti con insufficienza cardiaca cronica e disturbi neurologici. La pletismografia estensimetra, integrata da analisi ecografiche del polso giugulare, potrebbe potenzialmente far misurare molto più facilmente il flusso sanguigno in questi gruppi di pazienti, permettendo ai pazienti e ai medici di migliorare il flusso.

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