Salute: la psoriasi collegata all’infiammazione dei vasi sanguigni

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La nuova ricerca dimostra che forme più gravi di psoriasi sono associate a un’infiammazione maggiore dei vasi sanguigni, o vascuilte

La psoriasi, frequente irritazione della pelle che interessa un milione e mezzo di italiani, ovvero circa il 3%, sembra essere collegata con l’infiammazione dei vasi sanguigni, ipotesi che spiegherebbe perche’ chi ne soffre di forme gravi rischia piu’ spesso l’infarto. Ad avanzarla uno studio del National Institutes of Health(NIH) americano pubblicato sulla rivista ‘Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology’. La psoriasi e’ una malattia cronica autoimmune, quindi dovuta a un malfunzionamento dell’apparato immunitario che per errore attacca l’organismo invece che gli agenti esterni. Provoca chiazze rosse e squamose sulla pelle, in genere su gomiti, ginocchia, cuoio capelluto, viso, mani e piedi. Studi precedenti hanno suggerito che chi ne soffre rischia maggiormente infarto e problemi cardiovascolari. La nuova ricerca chiarisce il motivo, dimostrando che forme piu’ gravi di psoriasi sono associate a un’infiammazione maggiore dei vasi sanguigni, o vascuilte, patologia che, a sua volta, puo’ provocare aneurismi e coaguli di sangue e aumentare, di conseguenza, il rischio di infarto e ictus. Il team di ricercatori ha arruolato 60 adulti con psoriasi e 20 senza, ma tutti a basso rischio di malattia cardiovascolare. Un dermatologo ha valutato l’ampiezza della psoriasi tra i partecipanti, da lieve (meno del 3% della superficie della pelle colpita) o grave (almeno il 10%). L’infiammazione dei vasi sanguigni e’ stata invece determinata da una scansione nucleare. Rispetto ai partecipanti senza psoriasi, quelli con la forma piu’ grave registravano un aumento del 51% dell’infiammazione dei vasi sanguigni, facendo giungere i ricercatori alla conclusione che le due patologie condividono un meccanismo di base relativo al sistema immunitario. “In altre parole, l’infiammazione che vediamo all’esterno si riflette all’interno”, commenta l’autore principale dello studio, Nehal N. Mehta, ricercatore del National Heart, Lung and Blood Institute del NIH.

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