Grazie all’utilizzo della tecnica dell’astrosismologia, un gruppo di ricercatori è riuscito a stimare l’intensità dei campi magnetici in prossimità dei nuclei di alcune stelle evolute del tipo gigante rossa, ottenendo valori fino a 10 milioni di volte superiori a quello della Terra
Alcune stelle giganti rosse, astri simili al Sole ma assai più evoluti, sono state l’oggetto di uno studio condotto da un gruppo di astronomi, che hanno utilizzato la tecnica dell’astrosismologia per stimare l’intensità dei loro campi magnetici interni, ricavando per essi valori sorprendentemente elevati: fino ad alcuni milioni di volte quello presente sulla Terra.
In stelle più evolute del Sole che si trovano nella cosiddetta fase di gigante rossa, cioè che hanno già o stanno per iniziare la fusione dell’elio, sono stati in particolare individuate onde sismiche di tipo misto, con carattere oscillatorio di ‘gravità’ nelle zone interne e con carattere oscillatorio tipo onda acustica nella zona convettiva. La misura dei modi misti hano permesso di determinare con precisione l’età delle giganti rosse, distinguendo così stelle che si trovano nella fase di fusione dell’idrogeno da stelle che hanno già innescato la fusione dell’elio, e di capire che i loro nuclei stanno ruotando ad una velocità almeno dieci volte maggiore di quanto ruoti la superficie.
«Le onde di gravità che osserviamo nelle giganti rosse si propagano fino al centro di queste stelle» aggiunge Matteo Cantiello, del Kavli Institute for Theoretical Physics dell’Università della California a Santa Barbara.
La trasformazione delle onde interne, da tipo sonoro a gravitazionale, gioca un ruolo importante nelle oscillazioni che si manifestano nelle stelle e che poi possono effettivamente venire osservate dai nostri strumenti. «A seconda delle loro dimensioni e della loro struttura interna, le stelle oscillano in diversi modi» aggiunge Fuller. Uno di questi modi di movimento ritmico, nota come oscillazione di dipolo, rende un emisfero del stella più luminoso, a scapito di quello opposto. Un effetto che può essere osservato misurando come varia nel tempo la luce di una stella.
Se nelle zone dei nuclei delle stelle sono presenti forti campi magnetici, questi possono perturbare la propagazione delle onde di tipo gravitazionale, che in alcuni casi perdono energia e rimangono intrappolate all’interno del nucleo. Per questo motivo Fuller e il suo team hanno coniato il termine “effetto serra magnetico“: le onde di gravità permangono all’interno del nucleo stellare in un modo simile a quello con cui i gas serra nell’atmosfera terrestre intrappolano il calore che arriva dal Sole. La cattura di onde di gravità all’interno di una gigante rossa induce una perdita di parte dell’energia di oscillazione della stella, che si manifesta con una diminuzione dell’intensità del modo di oscillazione di dipolo.
Nel 2013, il telescopio spaziale Kepler della NASA, che è in grado di misurare minutissime variazioni di luminosità nelle stelle, ha rivelato l’indebolimento dei modi di oscillazione di dipolo in diverse stelle giganti rosse. Il team di Fuller e Cantiello, dopo una serie di indagini e simulazioni, ha dimostrato che la causa più probabile di queste riduzioni nell’intensità delle oscillazioni fosse proprio quella dell’effetto serra magnetico, ricavando che i campi magnetici interni delle giganti rosse potevano raggiungere intensità fino a 10 milioni di volte maggiori di quello della Terra.
«Il piccolo campione di giganti rosse studiate in questo articolo mostra un comportamento anomalo e cioè non mostra la presenza di modi misti tipici di questa fase» commenta Maria Pia Di Mauro, ricercatrice dell’INAF-IAPS di Roma. «Gli autori presentano uno studio interessante sulla possibile presenza di un campo magnetico primordiale, originato cioè durante fasi evolutive precedenti, di circa un milione di Gauss all’interno del nucleo delle giganti rosse, capace di sopprimere i modi misti. Questa eventualità rappresenta una interessante ipotesi, perché l’astrosismologia potrebbe diventare nel futuro l’unica, preziosa, tecnica per la comprensione e la costruzione di modelli di campi magnetici stellari.
Senza dubbio questo articolo apre molti interrogativi sulla presenza e sulla stabilità di campi magnetici così forti all’interno del nucleo radiativo di una stella e questo tema viene già ampiamente dibattuto tra gli scienziati. Alcuni autori, come Kitchatinov e Rüdiger (2008) hanno dimostrato che i campi magnetici maggiori di 600 Gauss dissiperebbero in breve tempo e provocherebbero all’interno del nucleo radiativo un ‘mixing’ delle specie atomiche non compatibile con l’abbondanza di Litio misurato oggi».