L’obbiettivo primario è quello di stabilire una serie di politiche volte a far fronte al pericolo dovuto al riscaldamento globale, fissando un quadro generale per le iniziative della comunità internazionale
Il 30 novembre prossimo si aprirà a Parigi la Conferenza internazionale sul clima, il cui obbiettivo primario è quello di stabilire una serie di politiche volte a far fronte al pericolo dovuto al riscaldamento globale, fissando un quadro generale per le iniziative della comunità internazionale. Ecco quali sono i principali punti del negoziato.
– L’obbiettivo principale, verso cui tendono tutti gli altri, è quello di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi entro il 2100. A questo proposito i Paesi che potrebbero subirne le maggiori conseguenze, come ad esempio gli Stati insulari, avrebbero preferito porre il limite a 1,5 gradi, ma non è stato giudicato fattibile dalle altre Nazioni.
– Per riuscire a raggiungere l’obbiettivo principale è necessario limitare in maniera drastica e decisa le emissioni di gas serra, sebbene si stia ancora discutendo sul come far fronte a questa necessità e non è ancora chiaro se l’accordo finale contemplerà delle cifre vincolanti o delle direttive più vaghe che lasciano maggior libertà d’azione ai singoli Paesi impegnati in tal senso. Inoltre, per raggiungere il risultato dei due gradi, gli esperti sono d’accordo nell’affermare che attendere oltre il 2020, anno in cui dovrebbe entrare in vigore il nuovo accordo, porterà in seguito a conseguenze più devastanti, a cui sarà difficile far fronte. In quest’ottica, dunque, l’impegno preso in causa da molti Paesi di ridurre o limitare le emissioni entro il 2025 o il 2030 non risulta sufficiente, dato che in base alle cifre divulgate il riscaldamento passerebbe dagli oltre quattro gradi stimati attualmente (se non vengono prese iniziative) a circa tre gradi, che sono comunque troppi per non aspettarsi danni ingenti all’intero Pianeta.
– Per quanto riguarda invece i finanziamenti, già nel 2009 i Paesi sviluppati si erano impegnati a stanziare le risorse necessarie per finanziare le iniziative per la riduzione dei gas serra anche nei Paesi poveri, con l’obbiettivo di arrivare a 100 miliardi di dollari all’anno dopo il 2020. Ancora però è tutto in fase di sviluppo e non è stato deciso quali finanziamenti vadano contabilizzati, se pubblici e privati, prestiti o donazioni. L’Ocse, intanto, ha valutato in 62 miliardi di dollari i finanziamenti erogati nel 2014, includendo anche i prestiti; i Paesi in via di sviluppo, dal canto loro, pretendono giustamente che questi finanziamenti si aggiungano e non si sostituiscano ai fondi per lo sviluppo, chiedendo inoltre che vi sia un riequilibrio fra le somme stanziate per la riduzione delle emissioni e quelle destinate a far fronte agli effetti del global warming.
– Per ultimo, ma non in ordine importanza, il fatto che i Paesi in via di sviluppo chiedono, oltre al denaro necessario, anche il trasferimento delle tecnologie indispensabili per limitare le emissioni e un’assistenza tecnica per l’adattamento ai cambiamenti climatici; tra questi, ad esempio, il rafforzamento dei sistemi di allerta, ancora deboli nei Pvs.