Oca, dolci con la sagoma del santo, biscotti inzuppati nel vino moscato: ecco le tradizioni gastronomiche italiane più diffuse nel giorno di San Martino
Un proverbio famosissimo dice: “Per San Martino, oca e vino”…un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare, come ci ricordano i Veneti: “Chi no magna l’oca a San Martin no’ fa el beco de un quatrin!” Perché l’oca è associata alla figura di San Martino? Si narra che nell’anno 371, quando San Martino venne eletto per acclamazione Vescovo di Tours, preferendo continuare a vivere come un semplice monaco, si nascose in un pollaio in cui delle oche, starnazzarono talmente forte da rivelare agli inseguitori il nascondiglio di Martino che dovette, a quel punto, accettare, diventando il grande Santo che è stato.
Un’interpretazione più sensata, invece, afferma che dato che le oche selvatiche migrano verso Sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e cucinarle. Forse per questo motivo si afferma che: “Oca e vino tieni tutto per San Martino”. Forse la scelta del volatile per San Martino nasconde antiche credenze che deriverebbero dalle celebrazioni del Capodanno celtico. L’oca di San Martino sarebbe, dunque, un discendente di quelle oche sacre ai Celti, simbolo del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’Aldilà. In Italia i pranzi a base d’oca nei giorni di San Martino, sono tipici soprattutto del nord, Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. Come accade ad esempio nell’antica “Sagra dell’Oca” di Morsano al Tagliamento, in provincia di Pordenone, dove per la “Cena di San Martino” viene servito un intero menù a base d’oca.
Mentre in provincia di Pavia, a Mortara, detta “la città dell’oca” c’è persino un salame d’oca detto anche “salame ecumenico”, perché d’origine ebraica, prodotto con il metodo Kascher. Ma la ricetta della pianura padana più diffusa per San Martino, simile nella preparazione alla “casoeuola” a base di maiale della Lombardia, è il “bottaggio”: nell’oca così cucinata la freschezza e la fragranza della verza attenua l’intensità del suo sapore un po’ dolciastro. Una curiosità: nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l’oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D’altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall’invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l’allarme con le loro strida! Anche in Svizzera l’oca viene gustata, ripiena di finissime fette di mele; mentre in Germania ripiena di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passite e interiora dell’animale. In Boemia, invece, l’oca non solo viene mangiata ma da essa si trae anche l’oroscopo per l’inverno: se le sue ossa sono bianche, l’inverno sarà breve e mite; se sono scure, ci saranno pioggia, neve e freddo.
L’11 novembre, lungo le calli della stupenda città lagunare di Venezia si incontrano bambini, armati di pentole e coperchi, che domandano caramelle e qualche soldino ai passanti, recitando una filastrocca in dialetto: “San Martin xè andà in sofita/ a trovar la so novizia/ la so novizia non ghe gera/’l xè cascà con cul per tera/ el s’à messo ‘n boletin/ Viva, via San Martin”. Con gli spiccioli raccolti, i bimbi acquistano il tradizionale dolce di San Martino a forma del Santo a cavallo, con spada e mantello, guarnito con glassa di zucchero colorata, praline, caramelle e cioccolatini. A Palermo il vino novello si stappa con tipici biscotti di San Martino “abbagnati nn’o muscatu”, inzuppati nel vino moscato e liquoroso, il cosiddetto “moscato di Pantelleria” che, grazie alla particolare fermentazione, presentava un profumo fruttato ed un gusto dolce ed aromatico. I biscotti sono disponibili in 3 varianti: tricotto, destinato all’inzuppo, rasco, destinato ad essere riempito con crema di ricotta, decorato con glassa, cioccolatini, merlettato con zucchero o con frangette d’argento.