E’ necessario migliorare la collaborazione fra oncologi e medici di famiglia nella gestione dei disturbi causati dalle terapie anti-cancro e i pazienti stessi devono essere coinvolti di più, anche in base al loro stile di vita
La qualità di vita del paziente colpito da cancro deve guidare la scelta della terapia. Otto oncologi su dieci sostengono infatti che un trattamento con un profilo di tollerabilità peggiore va scelto solo se garantisce una sostanziale superiore efficacia. Servono però nuovi strumenti per facilitare il dialogo con i pazienti: soltanto il 46% dei malati si è sentito realmente coinvolto nella scelta di terapie di pari efficacia ma con meno effetti collaterali. Netta la differenza rispetto al punto di vista degli specialisti: infatti il 90% dei camici bianchi afferma di rendere partecipe il malato in questa decisione. Ed è necessario migliorare la collaborazione fra oncologi e medici di famiglia nella gestione dei disturbi causati dalle terapie anti-cancro. Il 56% degli specialisti infatti ritiene che sia scarsa (è sufficiente solo per il 32%). È quanto emerge da due sondaggi condotti lo scorso ottobre dalla Fondazione “Insieme contro il Cancro” su 533 oncologi e 354 persone colpite da tumore del polmone e del seno in fase avanzata, presentati oggi a Roma in un incontro con i giornalisti realizzato grazie a un educational grant di AstraZeneca.
“Una migliore qualità di vita svolge un ruolo decisivo nell’adesione alle cure, come affermato dal 93% degli oncologi – spiega il prof. Francesco Cognetti, presidente Fondazione ‘Insieme contro il Cancro’ -. Spesso i pazienti interrompono le terapie proprio a causa dei disturbi causati dai farmaci. Per questo è fondamentale individuare, a paragonabile efficacia dei trattamenti, quei farmaci che garantiscono minori effetti collaterali. Inoltre il numero crescente delle formulazioni orali che permettono al paziente di vivere il trattamento a domicilio con il supporto dei familiari richiede una migliore collaborazione con la medicina del territorio”.
“L’oncologo – afferma il prof. Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’IEO di Milano – presta molta attenzione alla qualità di vita, come sottolineato dall’84% dei pazienti. Una sensibilità che si traduce anche nella scelta della terapia che tende ad essere sempre più chemo-free, superando l’utilizzo della vecchia chemioterapia. Un trattamento più efficace, per essere preferito nonostante la peggiore tollerabilità, deve dimostrare un risultato migliore in termini di sopravvivenza di almeno 90 giorni per l’85% degli oncologi intervistati e di 6 mesi per il 41%. Tuttavia può accadere che lo specialista abbia una percezione parziale degli effetti collaterali perché il paziente li ‘vive’ al domicilio grazie alla possibilità di accedere sempre più a terapie orali e cerca soprattutto il sostegno dei familiari e del medico del territorio. Per questo deve essere rafforzato il dialogo con questi professionisti che hanno un rapporto costante e diretto con i malati”. I disturbi più diffusi sono rappresentati da stanchezza, nausea, vomito, stitichezza e diarrea.
Nel 2015 sono stimate nel nostro Paese 363mila nuove diagnosi di cancro. Le neoplasie del seno e del polmone rientrano fra le cinque più frequenti con 48.000 e 41.000 casi ogni anno. Le terapie a bersaglio molecolare e l’ormonoterapia rappresentano un importante passo avanti nella cura dei tumori e la ricerca clinica è ormai quasi esclusivamente orientata in questo senso. Nel prossimo futuro le terapie biologiche, incluse quelle che agiscono attraverso il sistema immunitario, sono destinate ad acquisire sempre maggiore spazio nella strategia complessiva della cura e a ridurre la percentuale dei disturbi legati ai trattamenti, che oggi coinvolgono l’81% del campione intervistato, in più occasioni al giorno e per periodi prolungati, con un conseguente peggioramento della qualità di vita per il 32%. Familiari, amici e conoscenti e medico di famiglia rappresentano i principali referenti per la loro gestione.
Alla fine degli anni Settanta solo poco più del 30% delle persone colpite sconfiggeva la malattia. Negli anni Novanta quasi il 47%, oggi circa il 60%. Sono dati decisivi e non si può più parlare di male incurabile. Il miglioramento delle percentuali di guarigione è evidente in neoplasie frequenti come quelle della prostata (91%), del seno (87%) e del colon-retto (64% uomini e 63% donne).
“Questi risultati mettono in luce l’alto livello del sistema assistenziale del nostro Paese e l’importanza di rendere sempre più efficiente l’accesso alle nuove terapie oncologiche che ad oggi subiscono ancora ritardi importanti e differenze ingiustificate tra regioni– sottolinea la senatrice di Area Popolare Fabiola Anitori, membro della Commissione Igiene e Sanità del Senato -. Tre milioni di italiani vivono con una precedente diagnosi di malattia. I tumori rappresentano un’importante realtà multidimensionale non solo confinata agli aspetti clinico-assistenziali e di ricerca, ma anche gravata da rilevanti cadute sulla sfera affettiva, psicologica e familiare. Senza sottovalutare i problemi connessi al reinserimento sociale e lavorativo. Le Istituzioni devono essere in grado di rispondere alle richieste di questo ‘esercito’ di persone”.
“È importante che l’oncologo assicuri una completa e chiara informazione per costruire un rapporto di fiducia con il paziente – afferma Elisabetta Iannelli, segretario Fondazione ‘Insieme contro il Cancro’ -. Imparare a conoscere la malattia, le opzioni terapeutiche, i relativi effetti collaterali e gli strumenti per eliminarli o quantomeno ridurli, aiuta il malato ad affrontare con più forza e serenità il cancro. Gli permette inoltre di sentirsi parte attiva delle decisioni terapeutiche e aumenta la fiducia verso le competenze professionali del medico. I malati hanno bisogno di sentire che il medico comprende i loro bisogni e si interessa alla loro qualità di vita intesa a 360 gradi poiché, come è noto, la malattia oncologica impatta su tutti gli aspetti della vita della persona malata e della sua famiglia”.
Decisivo il momento della diagnosi. Come emerge dal sondaggio, il 68% dei pazienti ha percepito adeguata attenzione e sensibilità verso il proprio stato d’animo interiore e ciò che stava provando e l’88% ritiene di aver ricevuto informazioni adeguate su come gestire la malattia e sui disturbi legati alle terapie. Dall’altro lato il 59% degli oncologi ha affermato di rivolgere domande sul possibile stato di disagio interiore.
“Il malato non rappresenta un elemento passivo nella scelta terapeutica, a prescindere dalla sua età e condizione – conclude Annamaria Mancuso, presidente Salute Donna Onlus -. La comunicazione della diagnosi e l’individuazione del trattamento costituiscono invece un processo in cui tutte le parti in causa giocano un ruolo attivo: rappresentano l’avvio di un percorso dinamico, flessibile, in evoluzione, da realizzare insieme”.