Dai rimedi della nonna ecco come le giuggiole, grazie al loro brodo, posso apportare benefici per la salute
Chi di voi non ha mai sentito parlare di “zinzuli”? Questo termine dialettale fa riferimento ad un frutto non molto conosciuto, ovvero le giuggiole. In tempi antichi questi frutti venivano utilizzati non solo come snack da mangiucchiare freschi sotto il giuggiolo (la zinzulara in dialetto), ma venivano impiegati per canditi, confetture, sciroppi e marmellate (o conservati secchi). Mille modi quindi per trasformare questo gustoso frutto dal colore rosso porpora. Tuttavia oltre l’impiego culinario, queste piccole bacche erano utilizzate come veri e propri farmaci per lenire, sedare e calmare.
Le giuggiole infatti sono ricche di zuccheri, mucillagini, acido citrico e tartarico, e presentano delle interessanti proprietà medicamentose, tra le quali le più importanti sono quella espettorante, lassativa, diuretica, lenitiva ed antinfiammatoria ad uso esterno. Inoltre del giuggiolo non si butta via niente persino il suo legno è pregiato ed usato in ebanisteria. In Calabria, come anche in tutto il Mezzogiorno, le caratteristiche delle giuggiole sono oramai risapute. Era tradizione che le antiche massaie preparassero uno sciroppo o liquore fatto con le giuggiole da offrire agli ospiti. Fino agli anni ’50 era abitudine farne giusto qualche bottiglia magari da regalare ai notabili, preti, fattori. Nelle famiglie contadine, la frutta, secondo il periodo di maturazione, veniva messa a pezzi in un vaso e, per infusione alcolica, si otteneva un succo liquoroso che per la sua dolcezza era chiamato “Brodo di Giuggiole”, forse perché la giuggiola era l’ultimo frutto di stagione ad essere invasato. Il termine passò nell’uso comune ad indicare un qualche cosa di dolce e buono al punto che “andare in brodo di giuggiole” è sinonimo di gongolare di gioia.
Se anche voi volete preparare questa gustosità ecco la ricetta secondo la tradizione:
- 1 chilo di giuggiole
- 1 chilo di zucchero
- 2 grappoli di uva Zibibbo
- 2 bicchieri di vino preferibilmente rosso
- 2 mele cotogne
- buccia grattugiata di 1 limone
- poca acqua
Procedimento
Lasciare appassire le giuggiole (ci vogliono un paio di giorni); non sbucciarle. Pesare e mettere in una pentola, ricoprire d’acqua. Pulire ed aggiungere l’uva e lo zucchero. Cuocere per un’ora a fuoco lento. Aggiungere le mele e il cabernet. Alzare la fiamma e far evaporare il vino. Verso fine cottura (quando si sta gelificando) aggiungere la buccia del limone grattugiato. Portate a ebollizione fino a ottenere uno sciroppo cremoso: passatelo, fate raffreddare e sigillatelo in bottiglie sterili lasciandolo al fresco e al buio.
La leggenda
Si pensa che una specie affine al giuggiolo sia una delle due piante che servirono a preparare la corona di spine di Gesù. Per i Romani, invece, il giuggiolo simboleggiava il silenzio e per questo motivo era utilizzato per adornare i templi della dea Prudenza. In Romagna e in generale nelle case coloniche la pianta del giuggiolo veniva piantata vicino l’uscio, nella zona più esposta al sole, poiché ritenuta un portafortuna.