Dopo i giorni dell’incubo smog, Pechino ritrova l’ebbrezza dimenticata di un cielo pulito, o quasi. Dopo un periodo di inquinamento atmosferico da record su tutto il nord della Cina e solo grazie alla chiusura di migliaia di fabbriche per un rimedio in extremis all’airpocalypse più drammatica dell’anno.
Quasi per una sorta di ironia del calendario, i fenomeni si sono verificati nella capitale del più massiccio inquinatore atmosferico del pianeta proprio quando tutta l’attenzione mondiale si è concentrata sulla conferenza internazionale sul clima che si sta tenendo in questi giorni a Parigi.
Solo ieri Pechino era ancora immersa, per il terzo giorno consecutivo, in una spessa e quasi impenetrabile nebbia giallastra, densa di particolati microscopici quanto nocivi per l’organismo, che riduceva la visibilità a poche centinaia di metri costringendo gli abitanti a ripetere il rito ormai troppo frequente, e di dubbia efficacia, delle mascherini anti-smog.
L’indicatore del livello d’inquinamento dell’Ambasciata statunitense, che serve di solito come riferimento, aveva misurato alle 13.00 ora locale una densità di 621 particolati per metro cubo d’aria, oltre 24 volte la soglia massima di 25 fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Senza contare che il giorno prima, aveva toccata in serata, alla periferia sud della capitale, un livello di 945, 38 volte oltre i limiti Oms, polverizzando la media nazionale di 75 microgrammi per metro cubo.