27 gennaio 1945, per non dimenticare. Ecco perchè è doveroso celebrare la Giornata della Memoria

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Istituita in Italia nel 2000 con legge 211 del 20 luglio 2000, la Giornata della Memoria si celebra il 27 gennaio, data in cui le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) apparve l’inferno e il mondo vide, allora, per la prima volta, quel che era successo, conoscendo lo sterminio in tutta la sua realtà. Il significato della Giornata della Memoria, d’altronde, è proprio questo: far luce sul passato perché non si compia mai più un simile scempio.

A 1Di questa opinione è il grande Primo Levi che diceva: “Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo” e ciò vale “per ogni sterminio, genocidio ed attacco all’umanità per mano di altri uomini. Credo che nessuna tragedia sia paragonabile ad un’altra, ma tutte hanno bisogno di essere ricordate per la loro devastante specificità”. Quanto al termine Shoah, significa “catastrofe” ed ha sostituito il termine “olocausto”, usato, in precedenza, per definire lo sterminio nazista in quanto, col suo richiamo al sacrificio biblico, dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di milioni di persone.

La Shoah è il frutto di un progetto di eliminazione di massa senza precedenti. Nel gennaio 1942 la conferenza di Wansee approva il “piano di soluzione finale” del problema ebraico che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio ebreo non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una deviata strategia politica, è deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. E’ una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo “Juden frei” (“ripulito” dagli Ebrei). L’istituzione della Giornata della Memoria è stata riparatrice della fatica del ricordo nei sopravvissuti e della sottovalutazione del fenomeno che, almeno fino agli anni 60’, ha attraversato anche il panorama italiano.

L’internamento nei lager è stata un’esperienza estrema, una discesa negli abissi dell’umanità, inconcepibile per chi ritiene la storia un progressivo cammino di evoluzione e civiltà. Lo sterminio di massa discende da un disegno pianificato di razionalità industriale in cui l’uomo è assimilato ad un manufatto. Nelle menti degli aguzzini, la deportazione è come il trasporto della merce; l’internamento è il trattamento del prodotto, spremendo la forza lavoro sino alla consunzione, per poi arrivare alla morte, inferta con un gas frutto della ricerca chimica, lo Zyklon B, composto a base di cianuro prodotto da I.G. Farber, colosso dell’industria tedesca specializzato in antiparassitari.

Sempre per la logica industriale, quei corpi che occupavano troppo spazio andavano inceneriti nei forni crematori. Donne, bambini, uomini, varcata la soglia del campo, privati di abiti, scarpe, capelli, catenine ,denti d’oro e protesi agli arti; venivano privati anche del nome, sostituito, come unico identificativo, da un numero di matricola inciso sulla carne. Ecco che la privazione dell’identità diventa progressiva perdita del proprio corpo, riducendo le persone a fantasmi di ossa barcollanti. Quando poi le guardie costatavano che la capacità lavorativa dei prigionieri era esaurita, li conducevano nelle camere a gas, dove anche la morte non avveniva in maniera indolore ma era lenta, nel patimento dell’asfissia.

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